Continuo a leggere e rileggere il nome di questi ragazzini inglesi e la mia espressione si fa sempre più perplessa sul perché ci sia del sangue d'alce di mezzo. Boh, son fissoso su ste cose, ogni tanto rischio pure di sembrare come il John Doe in Seven su sto argomento, dovrei migliorare. Per dire, ora mi sovviene invece Christopher McCandless che in Alaska per sopravvivere uccideva un alce. O era un altro animale, boh? No, ok, la smetto di deconcentrarmi. Dicevamo. I Moose Blood, chi sono questi quattro ragazzini baldanzosi con le loro Vans, jeans skinny e golfoni intrecciati usciti da una pubblicità di Oliviero Toscani per Benetton di inizio anni '90? Son degli amici di Canterbury che vogliono divertirsi, nulla più, con una massiccia dose di sincerità che non guasta mai in una proposta del genere. Sì, la cittadina di nascita dei nostri rimanda ad altre scene musicali, però all'alba del 2014, anno d'uscita di questo "I'll Keep You In Mind, From Time To Time" c'è in giro un revival più forte che con Robert Wyatt e soci ha ben poco a che fare. Una "rinascita" che al sottoscritto non va tanto a genio, più che altro perché quando la roba (god bless Verga) inizia a saturarsi l'effetto plastica è quasi assicurato. Notando però di come abbia fatto presa è naturale che lì nel mucchio qualcosa di fatto con un certo riguardo ci sia, nonostante inizino a pullulare un trilione di artisti presi bene che a mò di stampino nominano determinate influenze, hanno un certo sound, il lupo ululà e il castello ululì. Di che sto parlando? Della riscoperta in garage di scatoloni ricchi di emo di scuola Midwest anni '90, punk rock molto easy listening e quell'indie spruzzato lì, senza un senso ben preciso, ma che connota un po' il mood generale che ci s'aspetta da questo filone di gruppi. I Moose Blood non fanno eccezione, però quel che fanno, lo sanno fare bene.

Pubblicato su No Sleep, garantendo quindi una produzione non patinata, nemmeno troppo perfettina, ma pulita sì, con buona pace degli amanti del lo-fi, questo debutto è il classico lavoro che apprezzi proprio per il suo saper farti staccar la spina. I Moose Blood lo capiscono subito che non è tempo di far mirabolanti acrobazie sperdute su qualche scogliera della Cornovaglia per cercar di ricreare un sound che si prenda troppo sul serio, un errore che può esser fatale. Insomma, all'inglese: keep it simple. In quanto c'è da dire una cosa, questa sorta di punk annacquato in salsa pop con i ricordi di American Football (frecciatina: voglio sperare che sia finito il trend di ricalcare le loro orme prendendo ogni sport come nome della propria band, ops, ecco, torna l'ossessione) o Texas is the Reason che furono non è semplice. O meglio, non è semplice farlo bene. Ci vogliono le giuste melodie, che s'incastrino per benino, che sappiano regger per tutta la durata del full length, perché l'effetto polpettone di Nonna Papera è sempre dietro all'angolo. Ed è per questo che son abbastanza insofferente solitamente a questa nuova ondata, son la perfetta incarnazione del s'impegnano, ma potrebbero dare di più, compitino e via. I Moose Blood senza colpi pirotecnici son riusciti invece a farmi innamorare, no dai è troppo, invaghire del loro disco e a farmi cambiar parzialmente idea. C'è un po' tutta quell'atmosfera che ti aspetti se volessi fare un falò con i tuoi amici e la ragazza di cui sei innamorato nei boschi della foresta di Sherwood o al tramonto su una spiaggia nel Dorset. Si spende una mezz'oretta che si perde fra malinconia e spensieratezza, facendo scattare una catapulta che riporta indietro all'età post-adolescenziale (sì, vabbé che io ho 23 anni :coffcoff:) completando il puzzle senza troppi intoppi.

Poi, ovvio, ti capita di leggere Bukowski, tiri fuori Hemingway per impressionare e magari ci aggiungi anche la sitcom Bayside School, senza dimenticare di guardarti nella tua cameretta American Beauty, tanto sai che citando Kevin Spacey in sto periodo vai sul sicuro; l'ho fatto pure io in apertura d'altronde. Innegabili e palesi riferimenti messi lì un po' furbescamente, o forse no, ma chissenefrega, in fondo nella musica dei Moose Blood non c'è nulla di impegnativo e i pezzi scorrono uno dietro l'altro fugaci e delicati, alternandosi fra attimi più intimi, senza scadere nello zucchero più zuccheroso. Un songwriting ben amalgamato, che non va mai forzatamente alla caccia del ritornello catchy o del sing-along, ma che punta a ricreare quelle sensazioni d'un allegria un po' amara, senza che ti butti giù a terra con vagoni di lacrime come i minerali texani. Nella sua semplicità d'armonie di fine estate, frizzanti e al tempo stesso crepuscolari i Moose Blood ti lasciano all'ultima fermata che ti riporta a casa. Non avranno mai dalla loro l'innovazione, ma la passione naive di chi è cresciuto a suon di Jawbreaker e Sunny Day Real Estate vince, senza che la sindrome delle fotocopiatrici imperterrite li colpisca. Su, è ora di andare a rispolverare i vecchi armadi e le fotografie sbiadite del liceo.

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