Molto spesso il metal estremo, ed in particolare il Death Metal, viene liquidato come "rumore" o pseudo-musica praticata da individui che, non avendo nessun tipo di preparazione musicale, sopperiscono alle loro carenze tecniche pestando il più duro possibile. Bene, credo che "Blessed Are The Sick" dei Morbid Angel sia uno di quei tanti (forse il migliore) esempi che un fan dell'extreme metal può citare in difesa del suo genere preferito.

L'album in questione (con lo splendido "Les Tresors De Satan" di J.Delville (1867-1952) come copertina) si potrebbe definire sulfureo ed ammaliante, infatti, come ogni spirito malvagio che si rispetti, tenta il povero ed ignaro ascoltatore con un concentrato di perizia tecnica, violenza sonora e un sottofondo melodico (non mi stancherò mai di ripeterlo, quando si parla di melodia in gruppi come i Morbid Angel e simili si deve sempre tenere presente che essa è intesa in senso "marcio" e "disturbante") originale e mai invasivo.

Rispetto al loro disco d'esordio, il sempre amato "Altars Of Madness", abbiamo un notevole rallentamento dei tempi, il quale non implica assolutamente un ammorbidimento del sound o una ricerca da parte dei nostri del ritornello facile e dell'orecchiabilità, come ci dimostrano pezzi tirati come "Day Of Suffering", il quale, nei suoi neanche due minuti di durata, trova il tempo per un attacco iniziale cadenzato e pesante come un macigno, un'accelerazione improvvisa che lo accompagnerà fino alla fine e un assolo schizzato del buon Azagthoth. Quello che la band ha voluto proporre in questo suo secondo lavoro è un connubio tra la violenza del debut e la voglia di sperimentare nuove soluzioni (come i rallentamenti quasi doom di alcune tracce come la stessa title-track) in grado di donare al tutto quel fascino morboso e maledetto che ha spinto fans e critica a decretare il successo di "Blessed Are The Sick".

Un episodio da citare è, secondo me, la stupenda "Desolate Ways", una traccia strumentale, scaturita dalla geniale mente di Richard Brunelle (qui vero alter ego melodico di Trey Azagthoth), di rara malinconia ed emozionalità (ascoltandola vi sembrerà di sentire l'eco dei vostri passi mentre camminate per una strada buia in un paesaggio post-apocalittico), la quale può essere, per ciò che concerne la bellezza e l'evocatività, collocata al fianco di quella perla di Chuck Schuldiner nota come "Voice of the Soul", presente sulla mai troppo eleogiata opera che risponde al nome di "The Sound Of Perseverance".

In conclusione ci troviamo davanti ad un autentico capolavoro dell'estremo, un disco che consiglio vivamente a tutti di ascoltare, in modo particolare a chi non ha una buona opinione del Death Metal.

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