I Morbid Angel fanno parte della Storia del Death Metal, ma in essa pare siano stati condannati ad essere relegati. Snobbati dai giovanissimi, la loro fama rimarrà sempre associata a titoli come "Altars of Madness" e "Blessed are the Sick", eppure la creatura di Trey Azagthoth ha continuato nel tempo a sfornare lavori davvero sopra la media, purtroppo non sempre adeguatamente apprezzati. La dipartita del vocalist storico David Vincent e il conseguente rimpiazzo con il ben più anonimo Steve Tucker ha decisamente smorzato gli entusiasmi, ma a mio parere, prorio perchè ci troviamo innanzi ad una band tutt'altro che dozzinale (e il panorama Death Metal ne è pregno) è necessario fare un maggiore sforzo di comprensione e capire che i Morbid Angel ci sono ancora ed hanno ancora molto da dire.
"Gateways to Annihilation" non solo è il miglior capitolo dell'era Tucker, ma ci consegna una band profondamente convinta ed ispirata: in questo lavoro si coniugano le sperimentazioni che caratterizzarono "Domination" (complice anche il ripescaggio di Erik Rutan, che proprio in quell'album suonò la chitarra) con le morbose visioni di quel pastone di Death Metal deviato e irrazionale che è stato il precedente "Formulas Fatal to the Flesh". In molti non saranno d'accordo con il sottoscritto, ma a me "FFF" piacque molto, e questo "Gateways ..." ne è la naturale prosecuzione.
Cosa significa, del resto, suonare Death Metal? Il Death Metal classico non è un genere che offra infinite possibilità, e spesso la sfida è quello di pregredire tecnicamente per trovare nuove soluzioni espressive nei canoni ristretti che il genere impone. Devo dire che fra le band rimaste innegabilmente fedeli ai dettami del genere, i Morbid Angel sono fra quelle che più hanno saputo coniugare varietà e conservazione della propria identità, dando alla luce lavori assai diversificati, ma sempre rilucenti di un marchio di fabbrica distinguibile a miglia di distanza. E questo, gente, si spiega con il talento e con la creatività.
Sarà che a me i Morbid Angel piacciono molto, ma quando sento il drumming micidiale di Pete Sandoval penso ad un artista che esprime le proprie emozioni (seppur mediate dal linguaggio brutale del Death Metal); e se m'imbatto nelle ritmiche contorte e negli assoli da pervertito di Trey Azagthoth penso veramente ad una sorta di Mozart che invece del pianoforte si è ritrovato fra le mani una chitarra elettrica. I Morbid Angel non suonano Death Metal perché aderiscono agli stilemi del genere; i Morbid Angel suonano se stessi, e come un'entità autoreferenziale continuano la loro corsa verso l'annichilimento senza che ciò che accade loro intorno intacchi la loro visione artistica. E mi si permetta una breve digressione: Chuck Shuldiner dei Death, alla fine della sua carriera, finì per uscire dal Death Metal classico, che lui stesso contribuì a forgiare; l'ultimo album dei Death "Sounds of Perseverance" è un album che non si può definire se non come "musica shuldineriana", il frutto di un talento che ha saputo crescere non attraverso la contaminazione, ma con l'elaborazione e lo sviluppo della propria arte. I Morbid Angel, che non sono i Death, hanno comunque compiuto un percorso per certi aspetti analogo, e se la materia schuldineriana è divenuta qualcosa di indefinibile, la materia partorita dai Morbid Angel, seppur ancora indubbiamente catalogabile come Death Metal, è, prima di essere Death Metal, arte dei Morbid Angel.
Con "Gateways ..." i Nostri tornano nella loro versione più compatta, massiccia e pesante, e ovunque si sposteranno, state sicuri che faranno piazza pulita. I tempi rallentano, a tratti si rasenta il doom più claustrofobico, ma a metter tutti in riga è l'implacabile doppia cassa di Sandoval che regola il procedere sinuoso delle composizioni. Composizioni che si svincolano da strutture semplici e lineari, e che, sviluppando il percorso intrapreso con il precedente "FFF", assumono tinte progressive (aggettivo da maneggiare con cautela), ma devastanti in ogni loro sfumatura. L'opener "Summonig Redemption" è l'emblema dei Morbid Angel targati 2000: sette minuti di ritmiche rocciose e tempi cadenzati. Un suono perfetto (salvo la batteria, un po' troppo sintetica), una colata di piombo fuso nelle nostre orecchie. Tucker, al top della sua forma (un growl solido, deciso e potente il suo, meno pastoso ed indefinito che in passato), si aggira titanico come un gigante distruttore, sbrodolando immagini decadenti e terribili minacce, annaspando faticosamente in paludi fangose e putrescenti. Gli assoli allucinanti, spesso lunghi e stravolti dagli effetti, concludono il quadro. La tecnica chitarristica di Azagthoth progredisce ulteriormente, assestandosi a nuovi livelli di eccellenza. Meno intricato e caotico che in passato, il lavoro di chitarra si rivela maggiormente melodico, studiato, e il fatto che il chitarrista nella foto indossi una maglietta dei Nocturnus è eloquente al riguardo: l'Angelo Morboso compie questa volta il suo volo nello spazio astrale, conducendoci in dimensioni dense di orribili visioni. Un'attitudine sperimentale che si concretizza nell'uso misurato, ma efficace, di synth-guitar e tastiere (a cura di Rutan). Non siamo certo di fronte ad uno "Spheres" dei Pestilence: la componente sperimentale fa da contorno al nocciolo brutale che da sempre contraddistingue la band, ma state certi che ad ascoltare questi brani sarete come catapultati nel lontano spazio profondo e risucchiati in un vorace buco nero (come suggersice l'allucinante copertina).
E chi ha detto che il Death Metal è un genere freddo? I Morbid Angel son troppo intrinsecamente folli per essere ricondotti ai razionali schematismi vigenti nel genere. Visionari e morbosi come sempre, sono un'oasi di insana malvagità nel mare pragmatico e spigoloso del Death Metal, dove l'obiettivo primario è quello di far più male possibile. L'atmosfera, invece, è una componente fondamentale in casa Morbid Angel. Da sempre. "Ageless Still I am" è imprevedibile nei suoi continui cambi di tempo, un labirinto del terrore in cui morire a bastonate. "He Who Sleeps", scritta da Tucker, è una sublime divagazione doom che ricorda i lenti e micidiali movimenti di una bestia ancestrale risvegliata da sonni millenari (e la mente corre inevitabilmente all'inarrivabile "God of Emptiness", geniale colpo di coda dell'oramai lontano "Covenant"). "To the Victor the Spoils" è invece una mazzata in pieno viso, violenta ed epica al contempo, e va a riproporre lo stile più classico della band. Proseguendo i toni caleranno un poco: "At One with Nothing", incespicante e lenta nel suo incedere e "Opening the Gates", decisamente più sparata, ripecorrono le medesime ambientazioni con minore convinzione. Ma c'è ancora tempo per un altro high-light dell'album, l'apocalittica "Secured Limitations", l'episodio forse più particolare del lotto, cantata a doppia voce, una growl e l'altra in screaming, ricordando non poco il primo Benton. Assoli da brivido in dissolvenza e poi le cupe tastiere dell'immancabile intermezzo strumentale "Awakening". Si riparte poi con "I", altro momento riflessivo animato da leziosi controtempi e ritmiche stoppate, fino all'assalto finale, l'anonima "God of the Forsaken", vergata Rutan, decisamente l'episodio più tirato dell'album.
Precisione, potenza, senso dell'abisso: gli ingredienti sono quelli di sempre, e "Gateways to Annihilation" è un album che se da un lato si assesta un gradino sotto agli inarrivabili capolavori degli esordi, dall'altro è pur sempre un colpo di classe non indifferente, un'atto di supremazia che fa impallidire molti dei seguaci della seminale band americana. La vecchia scuola non perdona, gente, e dopo un album decisamente scialbo come "Heretic" (a mio parere il vero primo passo falso in una rispettabilissima carriera) si spera che il ritorno all'ovile del carismatico Vincent porti nuova linfa vitale. E' comunque ancora presto per preoccuparsi: la Z è lontana!
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