La minaccia nucleare che avanza, le radiazioni devastanti che penetrano la carne, l'autodistruzione dell'essere umano che urla la sua disperazione : questo è il mondo visto dai Mordred. Fieri, dritti in piedi, nel retro copertina: sono gli autori della strategia sonora raccolta in questo vinile, sugli scaffali nel 1991.
Il thrash metal si dissolve e si ricompone come un puzzle di paesaggio alpino, si mescola al rap ed al funk senza sopraffarli, senza relegarli a tappezzeria, ma li rafforza, li indirizza nell'immaginario giovanile traboccanti di significati: i Mordred non parlano di altari o demoni, ma della vita di tutti i giorni. Non occorre nemmeno velocità supersonica o spiccata burrasca sonora, ma soltanto talento compositivo e coraggio nella sperimentazione. Sembra che la spensieratezza aleggi in tutto questo baccanale ritmico di stop and go, di cambi di tempo e accelarazioni, basso pulsante, assoli brillanti. Eppure c'è tristezza, ci sono testi veristi intrisi di pessimismo che descrivono situazioni reali, senza scadere nella retorica. Dopo l'esordio "Fool's Game" questi eroi di Frisco si sganciano nettamente dai sentieri già battuti dalle altre band Bay Area (Defiance, Exodus, Testament, Vio-Lence) aumentando la posta in gioco, ingigantendo alcuni elementi musicali che facevano capolino nel debut album, lasciando tutto lo spazio necessario al D.J Aaron "Pause" Vaughn, che si inserisce in ogni pezzo come una salsa aromatica nei tramezzini, senza però annientare il murales sonico, ma indicando la strada a band come i tedeschi Gunjah.
"In This Life" è un'aurora boreale di suoni che questi thrashers statunitensi forgiano solamente per quest'album, fissando il cantato rap con ritmi funk e solidi riff thrash, una categoria di luna park alla "...altrimenti ci arrabbiamo" con traiettorie ritmiche che vanno a ripassare di giallo fosforescente dieci pezzi killer, se è vero che oltre a mescolare stili diversi, questo ensemble riesce a mantenere elevati gli standard compositivi in tutto il disco. "In This Life" è l’acme compositivo di una band senz’altro non famosa come avrebbe meritato, maturata in punta dei piedi, con discrezione grazie anche con il ritorno del figliol prodigo James Sanguinetti ed all'inserimento in pianta stabile di "Pause" Vaughn, il D.J e chef degli scratch che si mette in gioco come peperoncino piccante.
Il pericolo più evidente quando si mescolano proposte musicali diversificate è che queste restino isolate in alcune song, basti pensare ai Bad Brains (canzoni reggae come "I Luv A Jah" e punk come "Pay To Cum" ognuna a casa sua), oppure che l'esperimento produca risultati pacchiani. I Mordred riescono ad assemblare vari stili all’interno di una stessa canzone, senza che la fluidità del suono ne risenta, anzi lo sentiamo scorrere con immutato vigore. La doppia corsia thrash e funk soggioga l'album servendosi a vicenda, come nella title –track che apre il disco. Il suono molleggiato del basso machiavelico di Art Liboon si avvicina in solitudine, pulsa sempre più irruento, mentre irrompe una chitarra heavy seguita, dopo pochi fraseggi dall’altra gemella e congiunte pennellano un bel solo melodico ma ombroso. Un intro che ci proietta lesti nel suono thrasy delle chitarre, a cura dell’eccellente produttore Michael Rosen (già coi Testament), che prelude al cantato rap di Scott Holderby, tenero e quasi sussurrato, monocorde ma efficace. E il chorus esplode, brilla con verve: backing vocals grintose più che mai, a cura di tutti i componenti del gruppo. Ed ecco la spietata “The Strain”, dove un ragazzo sta morendo con una pallottola in corpo, mentre riff heavy e basso slappato salgono sul treno degli scratch di Pause, allungati poi dalla chitarra energica nel chorus; non chiediamoci neanche come abbiano fatto a creare simili organismi musicali avendo alle spalle un background thrash, dobbiamo solo ascoltare il solos e l’intermezzo di simil-tastierina-simil organo di Barberia. Ancora funk e groove con “High Potency” ed ancora Pause sugli scudi nell’incredibile “Window”. Questa canzone è tosta non tanto per il suo scheletro ma per l’inizio che appare come una dichiarazione del modo di intendere la musica dei Mordred: voci dalla "finestra sul mondo" e una chitarra che gigioneggia, gli scratch che iniziano la loro bella crociera e la chitarra thrash che scende dall'altopiano ultraheavy e cresce piano piano fino a salire nell'aria. E via. L'aquilone svolazza anche nel testo critico e caustico contro la televisione :
"...Stronzate, menzogne,è ciò che hai visto/Censura sullo schermo/Questa è la vostra finestra per il mondo /Si lavora - si spende/Questa tendenza non avrà mai fine/Perché non aprire gli occhi?/La verità - si nasconde/Nessun dubbio che le notizie siano false/Perché non aprire la mente?..."
In questo disco Scott Holderby riesce a trovare posto come paroliere completo in due brani, che non profumano di thrash. E' il caso del piccolo rubino “Esse Quam Videri” super funk e straricco di trovate, con voce filtrata di Scott e tutta la band che suona, con affiatamento, parti heavy ed assoli melodici: il brano acquista respiro senza usare potenza insensata o elettronica pasticciata. "Downtown" contiene una citazione dei Thin Lizzy di "Jonnhy The Fox Meet Jimmy The Weed", ancora coverizzato nel maxi singolo "Falling Away". Al Dynamo Open Air del 1992 Brian Robertson (ex Thin Lizzy e Motorhead) si unirà a loro sul palco per cantare questa bella canzone. Tornando al brano non presenta una valanga heavy sbalorditiva, ma un andamento oscillante, con la voce assai nasale di Holderby. Di tutt'altra pasta "Falling Away", preceduta dalla tremante capsula acustica "In The Beginning", il singolo di cui parlavo prima: la sirena di attacco aereo si trasforma in puro camion-thrash riempito dagli scratch di Pause e dalla voce di scott Holderby, questa volta implorante ed ispirata: la sinossi del brano è compassata, lenta ma veramente deliziosa e malinconica. Più velocizzata "Killing Time" che prosegue sulla falsariga della precedente, sempre con uggiosa allegria e riff accattivante. I testi diventano più critici verso la società perbenista, verso l'inquinamento, soprattutto nella song più thrash del platter, ovvero "Progress", contenente passaggi fast, ma meno ricca di inventiva, pur non sfigurando affatto accanto alle altre. Il testo (tradotto molto alla buona dal sottoscritto) è un'amara riflessione sul mondo :
"Nel cielo grigio l'oscurità è causata da questa grande macchina che respira fumo/Pistoni a martello/Sbattimento di ingranaggi/Fornace che rimane alimentata dal carbone/Fragore di turbine/Urlo di un jet/Il sogno dell'uomo è imparae a volare/Simulando la Natura/Studiare il vento/Viaggiare in aereo attraverso il cielo/Il progresso nasce dalla volontà di apprendere/La conquista dalla cupidigia dell'uomo/Impossibile fondere l'odio con la scienza/Impossibile fonderlo/Progresso non con la distruzione/Procedere sfidando la corruzzione/Guadagnare terreno, andare avanti/Guadagnare terreno/Strutture imponenti/Pietra ed acciaio/Costruite sulla terra che uccidiamo/Bruciando le foreste/Svuotando i laghi/Dimostra la nostra volontà di progredire spaccando l'atomo/Il potere ci minaccia/Il male lo teniamo nelle nostre mani/spaventando i nostri vicini/Puntando i nostri fucili/Fino ad ottenere le nostre richieste"
Un album laborioso, sentito, senza presunzione, quasi perfetto, con qualche sbavatura nelle ultime song, ma d'altra parte non si può pretendere di più da questo laboratorio thrash-funk che sono i Mordred. Il problema sarà rinnovarsi e ripartire da questo disco. La risposta la fornisce il successivo mini LP "Vision": il gruppo ha già dato. Peccato.
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