Esistono album pregevoli e bistrattati, ma esistono anche band come i Mordred pressochè sconosciute al grande pubblico, baciate dalla sfortuna, incomprese come macchine sforna riff, senza una precisa carta d'identità eppure riconoscibilissime come un vecchio amico che non vediamo da anni, al quale portiamo rispetto: in un momento della nostra vita ci è stato vicino e gliene siamo per sempre grati .
L'album "The Next Room", uscito per la Noise nel 1994, proprio l'anno del botto dei Machine Head formato "Burn My Eyes", è il loro canto del cigno, il commiato esemplare dai loro fans e dalla massa di indifferenti alla loro proposta musicale. Partiti come thrash metal band nel 1989, con l'album "Fool's Game", arrivano alla completa maturazione musicale proprio con l'ultima release, dotata di una delle peggiori copertine che io abbia mai visto, inversamente proporzionale alla beltà delle canzoni in essa contenute (con qualche episodio claudicante). Dopo il mini-lp "Vision" sparisce dal giro il singer Scott Holderby ed entra Paul Kimball, cantante dalla voce roca ed energica, che sembra ispirare, vagamente, nelle tonalità più raw, il vocalist dei Sepultura Derrick Green. Il gioco è fatto: la band risorge e sfodera nuove sonorità definibili hard-thrash, ovvero riff grezzi, semplici e d'impatto memori del Bay Area sound. Anzichè seguire il pulmann di Seattle o l'autosnodato post metal, i Mordred si accodano al bilico metal ibrido, un sound al di sopra delle parti. Il muro di chitarre e la voce di Kimball fanno corpo unico, i riff appaiono più granulosi e l'humus sonico ondeggia e sale in alto lentamente, cancellando il riffing in crescendo del thrash tradizionale (tipo "Set The World Afire" dei Megadeth, giusto per fare un esempio), mentre il Dj Aaron "Pause" Vaugh rimane più compassato rispetto agli album precedenti, a guisa di guest star, come nel debutto, all'opposto degli assoli di chitarra che sono presenti in quasi tutte le canzoni e, molto spesso, sommersi dalla chitarra ritmica ("Murray The Mover").
Il produttore Michael Rosen accompagna la band per l'ultima volta ma in questo caso non esalta al massimo le linee di basso di Art Liboon in alcune song, mentre in altre il bassista brilla di luce propria. Fin dall'opener "Loca-HI-FI BER" si intuisce la nuova direzione musicale, che mira alla semplificazione delle frasi musicali, mescolando il riff alla AC/DC con il grezzo suono hard rock camuffato da thrash, come se gli autori di "T.N.T" decidessero di alzare il volume e comprimere il suono. Pause elabora qualche scherzetto in sottofondo mentre il singer scalda le corde vocali, urlando con voce cruda su un tappetto metal roccioso, che procede a ritmo lento, quasi autoindulgente, conciso, moviola iper heavy; il segreto della song è qui: l'accoppiamento voce grezza (come aceto deglutito che continua ad andare di traverso) con chitarra ruvida. Riff a colpo di randello con "Skid", che sembra il tentativo di avviamento di un motore ingolfato: rullate, spinterogeno sovraccarico, parte il motore, con calma Paul recita la strofa ed arrivano fischi metropolitani, esplode il refrain dalla voce strascicata. Niente di eccezionale, ma abbastanza per dimenare la zucca.
Tredici canzoni sembrano troppe ma il trittico "Acrophobia"-"Murray The Mover"-"In Turn" fa dimenticare ogni lamentela a cominciare dalla prima track dove si battono ancora i viottoli dell'hard thrashizzato, con voce calda e controllata di Paul Kimball (autore pure di quasi tutte le liriche), che fornisce il giusto sale nella pasta heavy, al dente e mai stracotta, cucinata su pentole antiaderenti al pop e col giusto filo di gas hardcore per arrivare all'ebolizione del pathos metallico. "Murray The Mover" aggiusta il tiro finendo nella giungla (metropolitana) con il verso della scimmia che innesta la marcia della song, mentre Kimball mattatore, trasportato dal fragore degli scratch e delle chitarre, canta dapprima con vigore e successivamente abbassando il tono nel pre chorus, quasi con voce tremante, emozionata, dal timbro soul, per liberare "Murray The Muvoooeeer": il fascino si concretizza fino allo splendido assolo con ritmica ad uragano. Struggente e mesta "In Turn", ma lasciamo perdere le liriche e concentiamoci sulle nostre emozioni, cosa ci rammenta questa melodia? abbassiamo lo sguardo verso il cuore? certamente sì, dal momento che l'incipit è quasi solenne: giro di basso, flauto tropicale simil Sandokan e via con la chitarra melodica mentre Kimball, sconsolato, snocciola la storia. La voce appena si accentua nel refrain e si gode nel sentire la chitarra seguire il suo passo lieve, si freme nel sentire lo l'assolo struggente di Sanguinetti, ci si perde nell'urlo roco e la song termina come una nostra vecchia storia :
"...E' una meraviglia/una meraviglia ad occhi spalancati/il modo in cui ti allontani/Ti allontani da me"
Ancora spiaggia tropicale con la strumentale "The Trellis", dove Pause-fachiro fa uscire col piffero il cobra-bamba dalla cesta e gli altri strumenti lentamente marciano, quasi sospesi in aria: pennate lievi, basso cogitabondo, drumming rilassato. Semplice ed efficace.
Siamo quindi lontani dal rap-trash dei Clawfinger di "Deaf Dum & Blind" o dalle bordate thrash-rap dei tedeschi Gunjah, i Mordred preferiscono dare spazio alla voce di kimball e alle diverse sumature rap-indiane-tropicali della strumentale "Rubber Crutch" e da pezzi sperimentali, quali "Split" e "Pauper's wine" , caratterizzati da funk, fiati e Pause in cattedra, che però sembrano dei filler fuori posto, certamente ben suonati e via dicendo, ma che rompono le uova nel paniere e viene da chiedersi come mai siano state inserite.
Dopo quest'ultimo convincente disco in studio i Mordred si sciolgono, chiudono il rapporto con la Noise Records fra l'indifferenza generale. Si sono riformati per alcuni concerti nel nuovo millennio orfani del chitarrista James Sanguinetti, sostituito da tale Chris Powell, e con Scott Holderby alla voce, però senza incidere alcunchè. Saggia decisione.
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