Quando sono riuscito a mettere le mani su "On The Back Of Each Day" dei nostrani Morose (dopo un'attesa lunghissima, causa una pessima distribuzione) sapevo di avere tra le mani qualcosa di strano, incatalogabile (da un punto di vista prettamente musicale), ma ne ero catturato come da tempo non accadeva, sin dalla copertina, dall'artwork, da quel micio e da quelle due sculture abbracciate e in estasi contemplativa. Poi lo inserisco nel lettore, schiaccio play, e per una cinquantina di minuti vengo immerso in un mondo a parte, in un'atmosfera magica e sospesa.

Stranamente lugubre, eppur rassicurante, fumoso, annebbiato, in bianco e nero, attraversato da suoni spettrali che dal nulla emergono e nel nulla si annientano, pianti di strumenti a fiato, chitarre appena arpeggiate, un piano saltellante e ipnotico, e una voce che ti strega, lenta, inesorabile, che scandisce le parole e te le fa pesare. Tutto questo è solo una parte delle immagini che questo disco mi ha saputo portare alla mente. Si sono avvicendati nella mia testa ricordi di infanzia, piccole paure, scene di un videogioco a me caro (ebbene sì, in certi momenti di una traccia la linea armonica portante mi ha riportato direttamente a Final Fantasy 7 e ai primi appuntamenti tra Cloud e Tifa: chi ci ha giocato sa di cosa sto parlando); eppoi ancora strade bagnate, gocce di pioggia che scivolano placidamente sul finestrino di una macchina, il fumo che esce da una tazza di tè bollente mentre fuori nevica. Stupide associazioni di idee, quanto di più soggettivo possa esserci, eppure questa è la forza di questo disco.

I Morose non vogliono piacere subito, scelgono i loro ascoltatori, e forse per questo conquistano. Ti garantiscono delusioni e disappunto ("We Guarantee Disappointment"), attraverso un inizio noise e sferragliante, che sfocia in una nenia soffusa fatta di campanelli, di sussurri, con un giro di chitarra acustica che sembra non voler mai finire.

Con la stessa placida calma con la quale ci hanno deluso ci narrano di come la fine possa avere un inizio ("Beginning Of The End"): ci sentiamo trasportati in una diapositiva seppia, cullati da un crescendo quasi post rock, che tanto sa anche di un certo cantautorato folk apocalittico e delle nenie dei Black Heart Procession.

Ti trovi di colpo a danzare sotto la pioggia ("Rain Dance"), per poi trasalire al suono delle trombe liquide e lasciarti in seguito andare nell'atmosfera calda eppur disturbante di "Foie De Dinde", un brano che, piano piano, si svela in tutta la sua straordinaria bellezza, come una Venere che per te, solo per i tuoi occhi, si spoglia, il cui levigato bianco corpo riflette i raggi del sole che, a fatica, riemerge dalle nubi prima di tramontare.

L'altro lato di un giorno qualsiasi, dove ti puoi incontrare con il tuo io più profondo, dove puoi affrontare, a occhi chiusi ("The Eyes Closed") ogni tua preoccupazione, senza farti, in fondo, scalfire più di tanto dai problemi.

Un grammofono stonato, come immerso in uno stagno d'acqua ("Drowned Gramophone") riporta alla mente la tua infanzia, le filastrocche e le fiabe ("Juròdivyi"), cullandoti e abbracciandoti prima di farti sciogliere in calde lacrime commosse ("Blessing In Disguise"), perfetta e consolatoria chiusura per un disco che ha del meraviglioso, anche solo per la sua forza evocativa.

Non aspettatevi un lavoro da un ascolto e via, non cercate qualcosa di facile presa in "On The Back Of Each Day". Se vi ci approccerete con questa idea lo brucerete e vi perderete quanto di unico ha da offrire. Gustatevelo con calma, assaporatelo, affogateci, riemergetene eppoi conservatelo per quando ne avrete ancora bisogno. Per quando tutto, intorno, sembrerà girare male, per quando, di nuovo, vi sentirete più protetti nell'altra faccia di un giorno nato storto.

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