Ascoltate la bellezza istrionica di un nichilista irriverente.
Ascoltate tutti i suoi dischi, pure quelli nientediché. Ascoltate la sua ironia, "irresistibile espressione dell'etica". Ascoltate. Ascoltate, ascoltate, ascoltate! (Insomma ascoltate...)
Morrissey è una puttana meravigliosa. Ti capita di vederlo agitarsi sul palco coi suoi movimenti dandy e gli perdoni tutta quella presunzione che gli deriva da un ego smisurato. Anzi, lo adori per questo ("Piazza Cavour, what's my life for?"). E canti insieme a lui i versi storici di quell'odiato/amato gruppo che era THE SMITHS.
Perdoni tutto, anche la sua eccessiva pancia, mostrata con fiera sicurezza durante uno dei tanti cambi di camicia. (Tu sei li che canti e sorridi.) Perdoni soprattutto la scelta, taccagna, di mettere poche canzoni vecchie nella scaletta della serata. Perdoni. Tanto più che il posto è straordinario: il teatro romano di Ostia Antica è lo scenario ideale quando il Nostro saluta il suo pubblico pronunciando, in un improbabile italiano, le parole "mammaroma". E si perché l'ultimo album è davvero romano. Scritto, pensato e prodotto a Roma, tra l'altro con la comparsata illustre del maestro Ennio Morricone nel brano Dear God Please Help Me.
Noti, poi, che l'atmosfera è deliziosa per tante altre cose. Il pubblico lancia sul palco bandiere dell'Italia e fiori. Addirittura i chitarristi indossano ruffianamente la maglia della nazionale italiana di calcio. Lui, con un mazzo di fiori in tasca, balla presuntuoso come un pavone con la sua coda istrionica. La complicità è totale, qualche ragazzo tenta il blitz: salire sul palco per un omaggio al crooner. Una ragazza riesce nell'impresa e s'appiccica al vecchio e sudato Moz in un abbraccio sorridente. Morrissey ringrazia gli astanti con inchini scenografici che mandano in sollucchero noi tutti.
Noi, pubblico trasversale composto da mille generazioni di decadentisti occasionali, raccolti nell'abbraccio, semicircolare, di un teatro eterno.
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