E’ un mistero come alcuni artisti godano di un credito smisurato e quasi infinito. Con ogni probabilità un credito che si sono guadagnati sul campo, perché nel mondo nessuno regala niente, ma questa categoria di artisti (non solo cantanti) esiste e non è facile neppure darsi una spiegazione plausibile del perché questa benevolenza sia così inestinguibile. Steven Patrick Morrissey possiamo affermare, senza timore di smentita, che appartiene a questa categoria. Raramente ho sentito metterne in discussione l’operato e quasi mai nessuno si è preso la briga di parlar male di un suo disco. Eppure a ben vedere non ha sfornato capolavori in serie, anzi tutt’altro. Pure io devo fare ammenda di essere magneticamente attratto da The King, poiché mi sono accorto di possedere praticamente tutta la sua discografia fin dal 1983 anno di pubblicazione dell’ omonimo esordio degli Smiths e di averlo seguito passo dopo passo anche quando ha intrapreso la carriera solista.

Tralasciando gli Smiths, che peraltro ho sempre considerato un grande gruppo da singoli e non da lunga distanza, devo a malincuore riconoscere che il Nostro, in quasi un ventennio di attività, a ben vedere ha pubblicato appena un paio di lavori rimarchevoli e cioè “Viva Hate” e il recente “You Are The Quarry” . A voler essere magnanimi inseriamo dentro (a sprazzi) “Your Arsenal” e “Vauxhall And I” . Per il resto ha fatto incetta di album decisamente prescindibili, alcuni proprio brutti, uno a caso, “Southpaw Grammar” . Quando nel 2004 è tornato sulle scene dopo un’ assenza di ben sette anni, lo ha fatto in tono regale, offrendoci con "You Are The Quarry" un disco che in alcune sonorità ci riportava ai bei tempi andati, ripagando ampiamente le attese che, a onor del vero, stavano diventando vane.

Stavolta l’attesa si è protratta per soli due anni e purtroppo l’ impressione che se ne ricava è quella di un disco tirato via più per contratto che per effettivo talento artistico. Virato in chiave elettrica più accentuata rispetto al predecessore, non riesce a ripeterne gli stilemi e si trascina abbastanza stancamente per tutte le sue dodici tracce, affidandosi al mestiere e alla voce (quella è sempre di prim’ ordine) che madre natura gli ha voluto donare per cercare di tenere a galla la baracca. In definitiva il lavoro è veramente scialbo con un rosario di canzoni inutili fotocopiate una sull’ altra, talmente sciatte da rendere disgustosa questa continua genuflessione verso Morrissey. Mi auguro che stia altri sette anni senza pubblicare niente e che gli tornino utili per progettare un album degno di tal nome. In molti casi il silenzio è d’ oro e anziché sfornare dischi in serie che nulla aggiungono, anzi molte volte tolgono, sarebbe meglio tacere in attesa di tempi migliori, onde evitare di sperperare tutto il credito accumulato. Passato e carisma rimangono, ma per quanto mi riguarda siamo veramente arrivati al capolinea.

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