L'ora solare, il buio alle sei di sera, le prime nebbie e le prime brinate... l'autunno è maturo e se nella foschia al tramonto uno spirito urlante cercasse di spaventarti, forse non ti sorprenderesti neanche tanto. E' proprio ora di una recensione di stagione, come le caldarrosto e il vin brulè, e mi viene in mente un album che pur parlando della tetra freddezza invernale nordeuropea si presenta come uno squisito omaggio alla creatività italiana. Nella fattispecie, il made in Italy prende le forme del cinema horror di serie b, quello di Lucio Fulci tanto per intenderci, amatissimo oltre confine tanto da riservarsi, nei Paesi scandinavi, un vero e proprio culto (i vecchi metallari ricorderanno certo gli Europe pre-lustrini che cantavano "Seven Doors Hotel", ispirata direttamente alle vicende narrate nel fulciano "L'aldilà - E tu vivrai nel terrore").

Anche i Morte Macabre nascono in Svezia, come un progetto estemporaneo nel quale si ritrovano componenti dei Landberk (Stefan Dimle e Reine Fiske) e degli Anekdoten (Niklas Berg e Peter Nordins) uniti, oltre che dalla passione per l'horror nostrano, dal fatto di cimentarsi tutti con il mellotron, oltre che con i propri strumenti. Potrebbe sembrare un po' il preambolo per un disco datato e maldestramente sinfonico, ma chi conosce i gruppi da cui provengono i componenti dei Morte Macabre sanno bene l'uso che questi fanno delle strumentazioni vintage, traendone un suono drammaticamente moderno, tormentato e spigoloso, volutamente imperfetto, a tratti violento, da qualche parte fra i King Crimson di "Red", il dark e il post rock. Tale approccio viene applicato, con risultati davvero godibili, alle colonne sonore di alcuni delle più efferrate pellicole "de paura" uscite a cavallo fra anni settanta e ottanta.

Ne beneficia, innanzitutto, il maestro Fabio Frizzi (eh sì, fratello di Fabrizio, capita nelle migliori famiglie...), pupillo di Lucio Fulci, di cui il gruppo riprende due splendidi brani. "Apoteosi del Mistero" (da "Paura nella città dei morti viventi"), in origine un brano elettronico, viene sottoposto a un trattamento "vintage" che lo trasforma anche ritmicamente in un valzer raggelante, fra cori ed archi affidati al mellotron, che ne esalta il tema melodico principale - si direbbe anche meglio della versione originale - fino ad un crescendo tipicamente crimsoniano verso il finale, in cui entra lancinante anche la chitarra solista, il tutto accompagnato da una splendida sezione ritmica (in particolare il basso sovramplificato). Dal già citato "L'aldilà..." i Morte Macabre riprendono invece "Sequenza Ritmica e Tema", che viene spogliata delle tentazioni funky tipiche dei primi anni ottanta e trasformata in un brano pesante ed ossessivo, dove l'esposizione iniziale della melodia originale lascia poi lo spazio all'improvvisazione furente della band. Non possono mancare i Goblin, qui rappresentati da "Quiet Drops", in origine uno spettrale brano per pianoforte e tastiere atmosferiche contenuto in "Buio Omega" di Joe D'Amato (regista normalmente più conosciuto per ben altro genere cinematografico); qui la parte del pianoforte viene sapientemente affidata alla chitarra elettrica, ora delicatissima, ora sofferta ed aggressiva, in un brano che potrebbe rappresentare cosa succederebbe ad uno standard blues rock dopo un inverno passato oltre il Circolo Polare Artico. Si va, poi, sul sicuro quando la band passa a "Opening Theme", ovvero la musica dei titoli di testa del famigerato "Cannibal Holocaust" di Deodato. Già il brano originale, di Riz Ortolani, era di per sé un piccolo capolavoro, una melodia cantabile decisamente commovente; poco cambia nella versione dei Morte Macabre, che ne accentuano il ruolo ricoperto dal mellotron e gli conferiscono un sapore vagamente hippy.

Non si pensi che in questo album tutto sia a livelli ottimali: "The Photosession", tratta dal film "Golden Girls" (e qui urge un qualsiasi chiarimento, perché questo titolo sembra appartenere solo ad una commedia proveniente da Hong Kong), è un bel brano rilassante, con le sue percussioni soffuse, il bel giro di chitarra, le onde del mare in sottofondo... peccato che in sette minuti la musica non evolga di una virgola. "Lullaby", poi, tratta da "Rosemary's Baby", sembra un po' fuori luogo e un tantino pacchiana, soprattutto se paragonata alle altre riletture contenute in questo album.

Ma la band ci mette anche del proprio materiale originale, regalandoci due altre perle di rock tenebroso: "Threats of Stark Reality" è uno stacco di ambient spettrale posizionata fra "Apoteosi del Mistero" e "Sequenza...", dove la band si muove in improvvisati e minacciosi territori un po' crimsoniani, un po' Tangerine Dream di "Electronic Meditation". Il climax viene poi raggiunto nell'apocalittico finale affidato alla title track, diciassette minuti di mellotron minaccioso, melodie disperate, accelerazioni e strappi improvvisi, forse alla lunga un po' ostici, ma sicuramente affascinanti.

Fuori ormai la notte cova chissà cosa sotto la minacciosa luna crescente. La notte delle streghe vuole di nuovo la sua parte: datele la giusta colonna sonora!

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