Non lasciatevi troppo fuorviare dal monicker, perché nonostante le tetre e malate atmosfere che, almeno nei primi tre Lp, i nostri seppero elargire a profusione, non ci troviamo di fronte ad un qualsivoglia sottogenere di metal estremo. Anzi, la proposta dei suddetti Morthem Vlade Art neanche rientra nel calderone metal.

E però.....

E però se avrete la gentil costanza di seguire fin in fondo la recensione, forse potreste scoprire qualcosa di quantomeno inaspettatamente fascinoso.

Beh, direi di incominciare con alcune note biografiche: dietro al funereo ed agghiacciante progetto Morthem Vlade Art si celano le deviate figure del duo Gregg Anthe (polistrumentista, main vocalist e massimo compositore)/ Emmanuell D. (musa ispiratrice nonché female vocalist ed autrice della maggioranza delle malate lyrics), provenienti dalla mondana e perversa Parigi ed attivi già dal 1995, anno nel quale registrarono l'interessantissimo demo "Order of the fly, Azazel and/or Allegory of putrefaction", che si tramutò, dopo una lunga gestazione e opportunamente riveduto, corretto ed esteso, nello spaventoso, in senso positivo, debut intitolato "Herbo Dou Diable" (1998).

L'album in oggetto di recensione è il follow up di un esordio molto apprezzato dalla stampa specializzata appartenente al mondo dark/electro/gothic e quindi estremamente atteso, soprattutto per valutare se il primo full lenght fosse da ritenersi un singolo episodio fortunato o se davvero la proposta del duo transalpino (opportunamente coadiuvato in studio da una serie di session musicians di tutto rispetto) si fosse così consolidata ed ampliata.

Bene, dire che "Organic but not mental" (2000) è dannatamente (e credetemi non c'è termine migliore per affermarlo) superiore al pur ottimo predecessore è un eufemismo: se infatti il debut ancora qualcosa doveva, in termini di originalità, ad una insana ed anomala simbiosi tra il death rock dei Christian Death (diciamo tra "Catastrophe Ballet" ed "Atrocities") ed orrorifiche partiture sinfoniche/orchestrali (davvero diaboliche) di derivazione Dead Can Dance ( mi vengono in menti certi episodi di "Aion" o di "Within the realm of the dying sun"), questo secondo Lp incanta per l'oscura capacità di discostarsi energicamente dai classici, ma ormai abusati, cliché gothic, tanto dare inizio ad un viaggio di introspezione sonora che li condurrà ad una deriva di natura prettamente elettronica scevra da reminiscenze rock, in particolare nella seconda metà della loro carriera, diciamo da "Photography in things" in avanti.

Ma nel capitolo discografico che ci accingiamo a trattare oggi, la componente goth rock la fa ancora da padrona tanto che il suo fragore rasenta spesso il metal, non tanto per lo stile con cui è suonata (assolutamente lontano da ogni contaminazione strutturale) ma per il potente impatto che songs come l'opener "The night before", "Spirits" o la splendida "Splendor in the grass" sanno regalare.

"Organic but not mental" è concepito come un sapiente alternarsi tra brani diciamo più "tradizionali" (vedi sopra) e languide suite ambientali/orchestrali come "Danger crowl on mosaic" o "Fragance", per niente noiose, autoreferenziali o peggio pacchiane, nelle quali, viceversa risulta ancora maggiore la sensazione di putrido e psicologicamente malato che facilmente si evince leggendo le folli ed autolesioniste lyrics (come vedremo più oltre). Il tutto condito con abbondati dosi di elettronica (e qui l'influenza di David Gahan e soci comincia a farsi sentire), synth, rumorismo di natura quasi industriale ma mai cacofonico, sample anche cinematografici ("Silent Cries", breve brano davvero ficcante) e una notevole propensione alla melodia drammatica ed evocativa, teatrale ed assai tetra.

Altra particolarità è l'uso di un batterista "umano" (tal Henry Kincet) affiancato da percussioni campionate, che grazie ad una sapiente opera di mixaggio sembrano perfettamente interpolarsi.

La voce un po' fanciullesca e nasale di Gregg Anthe (vedasi "Narcissus Methamorphosys" e "Dreams are Gone") ricorda un po' Damon Albarn dei Blur di "Think Tank" mentre tonalità profonde, androgine ed assai languide caratterizzano le suite su cui Emmanuell D presta la sua davvero caratteristica voce (nulla a che vedere con qualsiasi altra cantante femminile del panorama dark/goth/rock e metal, a mio avviso)

Come detto prima altro punto forte, in tutti i sensi, sono i testi: l'album si presenta come un viaggio introspettivo alla scoperta del proprio corpo tramite un'ingenua/lucida curiosità che porta l'autrice Emmanuell D. direttamente a raccontare pratiche chirurgiche d'ispezione, per meglio comprendere i nascosti meccanismi che permettono a alla mente e al corpo di lavorare in modalità simbiotica od asincrona (da qui il titolo dell'album). Il tutto raccontato con estremo animo poetico senza mai trascendere in trattati di patologia alla Carcass.

In definitiva questo "Organic but not mental", non presenta punti deboli o momenti di calo nessun suo aspetto, dall'interessante artwork, alla musica, fino ai testi.

Per chi non li ha mai sentiti, consiglio un ascolto, per chi li conosce solo di nome o per altri lavori, dico loro di procurarsi questo album dal valore intrinseco elevatissimo.

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