Non avrei mai pensato che un gruppo come i Motorhead e in particolare il suo cantante, Lemmy Kilmister, avrebbero potuto farmi rabbrividire dall’emozione con una loro canzone. Fino ad ora avevo considerato i Motorhead come un gruppo potente, grezzo e senza fronzoli per la testa. Legati all’Heavy Metal fino alla morte, con i suoi temi da “Sex, Drugs and Rock N’ Roll”, mai avrei immaginato potessero raggiungere una tale vetta lirica.
Mai avrei immaginato, invece, di poter ascoltare una canzone scritta dal baffuto cantante-bassista così densa e carica di pathos e di significato. Un’emozione difficilmente descrivibile, se dovessi usare delle parole, direi: agghiacciante.
Agghiacciante. Ho sentito raggelarmi il sangue quando ho ascoltato “1916”, la title-track del nono album prodotto dal quartetto Lemmy, Phil “Animal” Taylor, Phil Cambpell e Wurzel. Ho inziato ad ascoltare questo disco dalla fine, da questa canzone così lontana dallo stile Motorhead nel suono. Il brano è eseguito con la sola presenza della voce di Lemmy, accompagnato da un violino, le percussioni e da una tastiera elettrica. Il tutto, musicalmente, da l’impressione di udire una marcia funebre stile Old West. Questa marcia è l’accompagnamento ideale per il testo, che tratta dei massacri della Prima Guerra Mondiale. Una tragedia raccontata dagli occhi di un soldato sedicenne, che descrive con cruda atrocità la vita di trincea e che perirà in battaglia al fianco di un suo compagno. Chi ha letto la poesia “Soldati” di Ungaretti, può ben immaginare lo scenario tremendo che hanno vissuto i combattenti della “Grande Guerra”.
L’intero album si dimostra ben eseguito e con il solito piglio Motorhead: brani perfetti per l’Heavy Metal, come ben ci ha abituato il gruppo nella sua lunga carriera. Si comincia con il singolo estratto dall’LP: “The One To Sing The Blues”, canzone che avanza come un cingolato e perfora le casse del vostro stereo, nella quale domina la distorsione della chitarra di Campbell; il tempo necessario per passare avanti e subito si aumenta il ritmo con “I´m So Bad (Baby I Don´t Care)”, “No Voices In The Sky” e “Make My Day”. Diamine, son pur sempre i Motorhead.
“Going To Brazil” è una perfetta traccia Heavy N’ Roll, poi termina il tempo del cazzeggio (che cazzeggio, però!) e si passa ad atmosfere “sognanti” con “Nightmare/The Dreamtime” e la power-ballad “Lo Me Forever”, che mostra il lato dolce di Lemmy & Co., in particolare di un Campbell in grande spolvero.
Anche se lo fanno bene, i Motorhead non sanno stare su ritmi lenti e riprendono a correre prima con un tributo alla miglior Punk Rock band della storia: i Ramones, elogiati nella traccia "R.A.M.O.N.E.S." e, infine, con “Shut Your Gun”.
Infine, il requiem: basta fare i cazzoni, sedetevi, ascoltate la marcia di “1916”, riflettete sulle barbarie della Guerra e dite no ad ogni conflitto (e questa non è né semplice retorica, né un banale moralismo).
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