Apriamo il vocabolario e cerchiamo: Motorhead…..Motorhead….ah, ecco qui: “Motorhead, sinonimo di coerenza; completa dedizione allo sfacelo sonoro”. Non mi vengono altri termini per descrivere la storica band di Lemmy e l’ultima fatica del gruppo non fa altro che confermare quanto detto sopra. Passano gli anni, ma Lemmy e il suo fedele brufolazzo rimangono sempre gli stessi, complice forse una tinta per capelli, un look che non varia mai e una voglia di divertirsi e far divertire inalterata benchè di tempo ne sia trascorso. Malgrado ormai il capobranco si avvii verso la sessantina, la violenza con la quale i Motorhead si propongono ha del sorprendente: nessun cedimento, nessuna canzone fuori dal loro stile: "Inferno" si impone come uno dei migliori album della band da molti anni a questa parte, e il titolo è completamente azzeccato. Ma voi vi starete chiedendo: ci sono dei cambiamenti, delle svolte (ah, poveri illusi…)? Inutile aspettarsi cambiamenti, non è nello stile e nella logica dei Motorhead affidarsi a canzoni di stampo diverso dal loro timbro, semmai ho notato una produzione decisamente buona, grazie alla quale il sound violento ed immediato risalta alla perfezione.

Ma veniamo alle song: il cd è una bomba esplosiva e dovete stare molto attenti se non volete che scoppi da un momento all’altro. Già le prime tre tracce del nuovo album sono dei pugni uno dietro l’altro: “Terminal Show” vi manderà al tappeto grazie al suo riff velocissimo e grezzo, ma anche fresco e dinamico; da notare la presenza come guest star di Steve Vai che assesta un assolo perfettamente in linea col sound della canzone. La seguente “Killers” non accenna a placare la forza d'impatto del sound del combo, assestando nelle orecchie dell'ascoltatore una manciata di riffoni diretti ed efficaci (a partire del riff d'apertura davvero fulminante), trasformandosi così in una cavalcata entusiasmante. “In the name of tragedy” irrompe potente e quasi cupa, supportata, però, da un drumming sostenuto e vivace. I minacciosi riffs che si susseguono uno dietro l'altro, inoltre, dipingono bene l'immagine descritta dal titolo del brano… immagine che viene ulteriormente "focalizzata" da un assolo "straniante" ma di sicuro effetto. Inferno, quindi, si presenta davvero bene. Ma continuando nell’ascolto ci si accorge che la premiata ditta Lemmy & Co non accenna a demordere: “Life’s a bitch” è un brano in puro stile rock’n’roll che non mancherà si conquistarvi, “Down on me” e “In the Black” suonano decise e potenti con dei riffoni "old style", per poi svilupparsi nei classici refrain che più "motorheadiani" non si può, "Suicide" trova il suo punto di forza in un riffing più cadenzato ma non meno pesante, coadiuvato da una sezione basso/batteria compatta e precisa. Chiude il disco l'inaspettato blues acustico di "Whorehouse blues", dove Lemmy si cimenta non solo nell'accompagnamento chitarristico ma anche in un solo per armonica molto suggestivo e piacevole. Da notare, infine, l'espressività del cantato che, permettetemi l'espressione ma quando c’è vò c’è vò, odora (gradevolmente) "d'alcool e cantine fumose".

La coerenza in musica, per concludere, a volte paga molto bene. I Motorhead ne sono un'eclatante dimostrazione. Certo, può essere condivisa o meno questa cocciuta ostinazione dei tre musicisti nel riproporre ancora oggi lo stesso sound, ma questa trentennale coerenza ha prodotto "Inferno". Personalmente apprezzo la schiettezza con la quale la band si propone al suo pubblico, una schiettezza che suona così: "non vi piace la nostra musica? Fuck you! Vi piace la nostra musica? We are Motorhead, and we' re gonna kick your ass".

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