I Motörhead non esistono solo per fare dischi tutti uguali dal 1977, ma anche per ricordare a tutti noi che c'è un fuoco e questo fuoco si chiama rock'n'roll.

Lemmy & soci arrivano al 2008 dopo un tour lungo l'Eternità che ha mancato solo il polo nord (ma ci stanno lavorando) e la mia città, e ci arrivano con il solito speed metal, col solito rock'n'roll macchiato di blues, sporco e ruvido, con la voce distrutta e affilata come un rasoio arruginito, con la chitarra esageratamente potente, con la batteria che sembra un carrarmato veloce come una Ferrari.

I Motörhead sono arrivati a Motörizer e fanno sempre drizzare i peli delle gambe come una tirata di whiskey, sono sempre altezzosi, si danno le arie e suonano da un piedistallo che chiameremo Olimpo del Rock, macchiato dagli scatarri giallo nicotina di Lemmy. Così quando parte Runaround Man, non è niente di nuovo, ma è come tornare a casa, diavolo, un sospiro di sollievo sapere che i Motörhead fanno le stesse cose da trent'anni.

A metà disco, dopo il pesantissimo e lisergico hard rock di One Shot Life, c'è Buried Alive, sicuramente il brano più bello dell'album, che ti costringe ad alzare il volume dello stereo fino a farti sanguinare le orecchie. C'è pure l'immancabile rock'n'roll di English Rose e la sensazione è quella di essere rimasti negli 70, tutto birra e fica. La lentezza di Heroes riporta ai bei tempi di Bastards e l'heavy metal di The Thousand Names Of God chiude l'album con la sicurezza di avere a che fare con un gruppo che fa sempre la stesse cose, ma le fa meglio degli altri.

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