Di giallo sfocato per criptarne il sorriso. Di linee schizofreniche per imprimere anche su una copertina gli scatti imprevedibili e folgoranti di un album immenso, forse mai abbastanza osannato, sicuramente poco dibattuto nei termini più consoni in questo spazio. E proprio per l'altra recensione più che altro poetica anzichè analitica del lavoro, aumenta in me la voglia di parlare con voi di suoni, melodie e intrecci che fanno di questo "Psychobabble 003", ormai lontano 12 anni, una delle pietre miliari indie rock degli anni novanta assieme al poco più anziano Timothy's Monster. Le differenze a livello di "produzione" tra questi due album, pur essendo tra loro distanti di soli due anni, sono nette. Se Timothy's era una cascata di corde vibranti ammassate ma devastanti per calore, spontaneità ed ispirazione, Blissard si discosta dal suddetto per la sua forma più granitica, tagliente, e senza tralasciare la psichedelia i tre ci ricordano ancora oggi cosa vuol dire incastrare chitarre, basso e voci.
La prima traccia, Sinful, Wind-borne, è un sunto della loro vena creativa del periodo. Pezzo questo che al suo interno regala momenti di tale intensità da farmi rimanere immobile ad ogni ascolto, perché nient'altro occorre fare quando c'è già tutto. Qua si viaggia nella luce, si viene trascinati da una sessione ritmica da brividi e da melodie che annodandosi tra di loro rinchiudono e liberano in rapida successione l'ascoltatore da momenti angosciosi a più solari, esprimendosi a livelli di gusto e arrangiamento talmente elevati che anche mostri sacri quali Sonic Youth rimarrebbero a bocca aperta (band che avrà anche influenzato i tre di Trondheim, ma alla lunga insegnato tanto quanto loro alle generazioni future).
Blissard per la prima parte del disco non concede pause, e Drug Thing aumenta ulteriormente il tiro con i suoi quattro minuti di stupefacente frenesia che fanno andare le mani dei tre Motorpsycho come quelle di pianisti sotto l'effetto di un acido. Ogni colpo è assestato e ci arriva alle orecchie per farci correre ad occhi chiusi, sbattendo senza accusare dolore nei cambi repentini che il brano in questione esegue.
Drug Thing, grazie anche al suo straordinario avvio, rimane tutt'oggi uno di quei pezzi capaci di aumentarmi il battito cardiaco, forse solo per avvicinarmi ai suoi, assolutamente mozzafiato.
Lenta, acida e stridente Greener a seguire, dove Snah fa il suo esordio vocale. Con cadenze da massicce a tenui solo per far tirare il fiato, Greener fa fischiare chitarre e spaccare i crash di Gebhardt nei sei minuti delle sue esplosioni cupe e malinconiche.
Una voce inquietante apre "'s numbness", quarto pezzo del disco. Qua i nostri, dopo gli schiaffi inferti dalla chitarra di Snah e la batteria di Gebhardt aprono con un giro voce-chitarra talmente dissonante da risultare armonioso (...paradossi èh?) e poco dopo l'irrompere dei bassi di Bent mette il pezzo su una carreggiata ben precisa, dove basta una tastierina innocente a delinearne il momento più significativo.
Mettere il brano in questione "a palla" per capire cosa ho tentato di descrivere.
Si arriva al pezzo forse più curato ed emozionante del disco: The Nerve Tattoo.
Il basso distorto di Bent, due note di chitarra e un ritmo che incalza dalla prima battuta per poi un aprirsi (grazie agli splendidi archi) verso panorami molto più caldi della loro terra madre. Abbagliante, sfocata, dolce The Nerve Tattoo, che trasporta, culla e scuote fino ad una collisione di onde sonore, archi e qualsiasi cosa emetta un grido senza aver voce.
True Middle è la pausa, o se vogliamo la svolta del disco verso una seconda parte più psichedelica e ipnotizzante che calma la tempesta (o almeno in parte), ma che arriva comunque a rivelarci ancora una volta la loro propensione per il cupo che infetta la maggior parte dei loro lavori di quel periodo, da sempre ispirati alla facciata più hard, grezza e allucinogena del rock anni 70.
L'esempio sublime è S.T.G. (Sonic teenage Guinevere), brano monumentale che per quasi dieci minuti arriva dritto al cuore. Un inizio pacato, con un crescendo chitarra/basso semplicemente fantastico, fino al momento di emergere per sprigionare tutta la loro attitudine Hard Rock in stile Grand Funk Railroad. Qua Snah esplora i territori a lui più cari, spaziando dal già citato "seventy sounds" alle chitarre acide in stile Dinosaur Jr. Dal vivo il pezzo è ancora oggi proposto con la stessa freschezza con cui era proposto anni fa, e vederli muovere in sincro per scandire a chitarra e basso innalzati gli stacchi del giro portante è davvero piacevole e divertente. E mentre scrivo, S.T.G. continua la sua cavalcata psicoacida fino ad accasciarsi al suolo stremata, usando le forze residue per un finale emozionante, potente anche se 1000 decibel sotto al cuore della canzone.
Manmower, traccia che si avvia assieme a Fools Gold a regalare gli ultimi momenti del disco (quelli più soft) è una timida bora che mi sfiora facendomi riflettere su quanto la musica abbia la capacità di infondermi gioia anche con melodie decadenti, non solari.
Gli ultimi sei minuti di Blissard sono opera di DeathProd, elemento da sempre parte integrante della band anche senza mostrare la faccia. Qua parlare di psichedelica è scontato quanto riduttivo. Meglio ascoltarsela, viverla, spegnendo le luci, sdraiandosi per terra, chiudendo occhi e, perché no, rimanendo soli.
Disco memorabile che non finirò mai di rispolverare, di amare, di far conoscere a persone che dei Motorpsycho oggi forse conoscono solo le ultime produzioni, diverse anni luce da questa anche se con la stessa voglia di fare musica, quella che parte dallo stomaco, quella immortale, quella che hanno fatto loro e che nessuno è mai riuscito a riproporre con la stessa poesia.
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