Da quando sono in questo sito mi ero posto un obiettivo: ossia cercare di fare le recensioni di tutti i dischi di un gruppo solo. Ho cercato qua e là e ho notato però che molti dei miei autori preferiti avevano già troppe recensioni, mentre per altri non avrei mai nemmeno osato farlo.
Fortuna che c'era un gruppo che aveva ben poche rece sulle spalle, ovvero i Motorpsycho, quindi la mia scelta è ricaduta su di loro. Penso quindi che questa mia decisione non solleverà troppe proteste e che ciò contribuisca a far conoscere un gruppo che, nel bene o nel male, ho sempre apprezzato.
Questo è un trio che viene dalla fredda Norvegia, una delle patrie del Metal, e nei loro primi lavori si sente chiaramente questa influenza. Ecco quindi che comincio con "Demon Box", che in teoria sarebbe il loro terzo album tuttavia meglio iniziare da questo infatti i primi 2 non li ho e non mi sembra di perdere molto.
Lungo più di 70 minuti, si apre con "Waiting For The One" che potrebbe trarre in inganno, un inizio folk-rock con tanto di flauto, solo che si viene disillusi subito da "Nothing to say" uno dei loro pezzi più famosi con un ritornello piuttosto elementare ma molto coinvolgente, e da "Feedtime" pezzo durissimo dalle sonorità metal. Diventano subito chiare le loro principali influenze dalla musica di quel periodo, Sonic Youth, My Bloody Valentine e soprattutto Dinosaur Jr.
Si prosegue con "Sunchild" che strizza l'occhio al punk, poi arrivano altri due corpi estranei "Tuesday Morning" pezzo psichedelico anche se con un finale hardcore e la cover di Moondog "All is lonelyness", di cui non conosco la versione originale ma mi sembra davvero un bel pezzo, forse il migliore per me di questo album.
A questo punto l'intermezzo acustico di "Come On In" ci introduce alla seconda parte del disco: l'inquieta "Step Inside Again", sarebbe una perfetta colonna sonora per un film horror, soprattutto per il finale davvero pauroso, comunque è solo un'introduzione per i 17 minuti della title-track, una canzone anche questa grunge-hardcore con un lungo intermezzo pieno di rumori, effetti e improvvisazioni per poi finire con dei violini drammatici.
Ci si riprende con la breve punkeggiata "Babylon", che è per me la meno interessante ma necessaria dopo il trauma delle canzoni precedenti, poi arriva "Junior" (il titolo forse non è casuale ma può essere un tributo ai Dinosaur) un'indie abbastanza melodico e piacevole."Plan #1" anticipa quello che sarà il futuro del gruppo, infatti si vedono linee melodiche più marcate e intuizioni psichedeliche interessanti, mentre il finale è lasciato a un altro pezzo stile "Feedtime" ovvero "Sheer Profoundity" e a "The One Who Went Away" ossia la prima traccia in versione hard rock.
Che si può dire quindi alla fine? Bè che la loro musica è ancora da definire meglio, era ancora troppo sporca anche per colpa di una scarsa cura nella produzione, senza contare che mancano le maestose suite come "The Wheel" o "The Golden Core" la voce inoltre è quella che è.
Comunque si tratta di un lavoro coraggioso, vario e originale, verranno presi nei lavori successivi molti spunti come ad esempio nel successivo mostro di Timothy...ma questa è un'altra recensione.
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