Tutti convinti che i norvegesi, essendo norvegesi, non possono andare oltre qualche fiordo, e invece... C'è chiaramente una violenza che non ha niente a che spartire con Breivik, dove qui c'è l'impeto umano, la brillantezza che viene scambiata per una cosa pericolosa quando sveglia qualcuno
dal "letargo".

Ed una scelta logica di intitolare il lavoro al Dáimōn, de facto specialmente musicalmente siamo in compagnia di un buon demone dove le accelerate sono brutali nella loro disarmonia celestiale. Si è talmente dentro un immediato di gioia trascendentale che il sorriso che ci strappa è prolungato per tutta la durata del disco, col pericolo di non fare caso allo slogamento della mandibola, visti i picchi esplorati di smile concitati.

E si supera la dualità della conta del tempo quando capiamo che la band ha esorcizzato l'influenza di quelle latitudini vichinghe dove l'alternanza dei "sei mesi al buio & sei mesi con la luce" non incidono più sui comportamenti. La lambretta trasporta questa volta agli antipodi da una violenza gratuita Russmeyeriana e risolve l'annullamento della stessa nella felicità della presa di coscienza della solitudine.

Ci ritroviamo a sorprenderci a sussurrarci "incantevole" ad ogni brano che si sussegue, e questo con una purezza nel non considerare un approccio razionale per i nostri padiglioni auricolari che si fanno inondare constatando che il flusso è genuino. Consapevoli di essere soli acquisiamo un ludo verso il tutto, avendo la band anche risolto il piglio Wotan dell'albero genealogico guerriero.

Ricordi senza rimpianti, gioventù sempre presente, vita che pulsa senza compromessi, confessione verso se stessi di un "non importa" cercato, dita puntate luciferine che si trasformano in mani aperte di sincera pace.

Copertina che rafforza la sorpresa del bisbiglio di una vocetta intima del tipo: 'ndo cazzo so' capitato? Ebbene sì, il "box" è pieno di angeli, il vaso di Pandora grida con uno squarciagola piacevolmente sgraziato che non ha niente di sofferenza, è un uragano di felicità cruenta nel raccontare invisibili purezze abrasive.

La scream teraphy innesca un loop dove i magma riffs, le spruzzate fosforescenti psichedeliche e le revisionate ballate folk, ponendosi aliene, ti esentano dal passare il filo interdentale tra i denti talmente i detriti sono disintegrati che non si sedimentano negli interstizi ma, erotti, scorrono decisi lasciando lindo lo smalto.

Come la coppia di beach volley Mol - Sørum, vincitori dell'oro olimpico in quel 2021, inaspettatamente anche in quel 1993 "sul ponte sventola(va) bandiera"... norvegese. Che le balene ci perdonino, almeno per questa volta.

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