Gli anni passano per tutti. Ma non per i Motorpsycho. In vent'anni di onorata carriera pochi sono stati i cali nella vastissima discografia dei tre norvegesi. Ho sempre trovato che il loro maggior pregio sia la capacita di reinventarsi, partendo dalle lezioni tracciate, da loro stessi, nei precedenti album. E se è vero che "Little Lucid Moment" poteva essere considerato il gemellino ripulito di "Black Hole Black Canvas", questo "Heavy Metal Fruit" si pone giustappunto tra l'ultimo, celebrativo e autoconclusivo, "Child Of The Future" ed il suddetto "Little Lucid Moment". Con molta più ispirazione, sagacia ed unità di intenti. C'è una sentiero di scorie acide e grezze, ed attraverso quello si snoda il nucleo dell'album.
Tracciati progressivi pronti a snodarsi dapprima in riff story al cardiopalma, figlie dei Seventies, ed in seguito in lunghe jam di matrice prettamente psichedelica. Esplicativa a riguardo la suite conclusiva "Gullible's Travails", in cui il sonico power trio affetto dal morbo di Parkinson e dell'iperproduttività riesce ad infilarvi di tutto, riuscendo a ricreare - seppur in maniera forse anche più evoluta - una suite paragonabile alle produzioni antecedenti al nuovo millennio. Ennesime dimostrazioni di poliedricità possono essere considerate "X-3 (Kuckelheads In Space)/The Getaway Special" che nella sua prima parte imbarstardisce le cavalcate di "Barracuda", conservandone il lato prettamente Pop, e nella seconda le decostruisce attraverso un repentino orientamento Jazz, che farà capolinea anche nella lunga intro di "W.B.A.T", un futuribile cavallo di battaglia in sede live; ruolo perfettamente condivisibile con la folgorante opener "Starhammer", probabilmente una delle composizioni migliori proprio dai tempi di "Barracuda".
Mai domi i Motorpsycho. Faranno discutere sicuramente, ma una cosa è certa, la piega ormai presa da quattro anni a questa parte ha trovato una sua circolarità. Tutto è al posto giusto, unidirezionale ma allo stesso tempo pluridirezionale. Più vivi che mai.
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