Provate a immaginare cosa pensereste se un pigmeo avesse la pretesa di farvi provare, magari con semplici parole, magari in musica, le emozioni che una terra fredda e grigia con spazi sconfinati, come L'Islanda, possa suscitare.
Il primo pensiero sarebbe con ogni probabilità quello di dargli del folle o di pensare perlomeno che il soggetto in questione sia un tantino supponente e velleitario.

Ecco perchè apparentemente Phanerothyme potrebbe dare l'impressione di essere un lavoro pretenzioso e senza senso.

Se poi lo si contestualizza nella sconfinata produzione discografica della band di Trondheim, si nota come sia totalmente differente dalle attitudini rumoriste e acidamente psichedeliche dei tre norvegesi e vada incontro, invece, ad una maggiore ricerca di raffinatezza sonora e ad un nuovo approccio nelle armonie vocali, attingendo a piene mani dalla west coast e dalla scena psichedelica americana di fine anni'60.

Tutto questo però viene affettutato con lo sconfinato talento e la classe cristallina che Ryan e soci posseggono in quantità industriali e se è vero che nell'album si colgono riferimenti e citazioni a iosa, è anche vero che siamo ben lontani dal semplice scopiazzamento, ma i norvegesi ci mostrano come si possa utilizzare parte del proprio background musicale per produrre qualcosa di comunque estremamente personale e intimo.

In questo lavoro le chitarre costantemente distorte, fanno spazio non solo a suoni più puliti e ad un cantato meno graffiante, ma anche all'utilizzo di strumenti del tutto nuovi nel sound del gruppo, come archi, banjo, flauto e fiati.

Splendida l'introduzione dell'album, Bedroom Eyes, una delicatissima perla, nella quale chitarra acustica, violini e una voce sussurrata e intimista creano un atmosfera degna del miglior Nick Drake.
Il clima si fa "elettrico" con For Free, nella quale la band gira a un ritmo molto più accellerato a percorrere territori dalle tinte punk, con un trainante giro di basso, usato, come spesso Saether ci ha abituati a fare, quasi come seconda chitarra, che accompagna e riempie.
Ma i Motorpsycho sanno essere questo e molto di più, fanno capolino nelle diverse sfacettature del rock, del folk, del blues, del jazz e mescolano insieme questi generi con una maestria che ha pochi uguali, come avviene in B.S., partendo da fraseggi semplici e fantasiosi fra chitarra e basso, per poi creare atmosfere eteree e dilatate degne dei Dinosaur Jr o dei Traffic.
Gli otto minuti di Go To California sono goduria pure per le orecchie, armonie vocali perfette, groove avvolgente e ipnotico, e una fase strumentale nella quale i Doors tornano a vivere musicalmente, ma i Motorpsycho più che saccheggiare Light My Fire, sembrano costruirne l'appendice, svilupparla in un'estasi psichedelica avvolgente ed energica.
Durante le spensierate passeggiate sulla spiaggia, i Motorpsycho sono capaci anche di far viaggiare i propri pensieri,traducendoli in note, nelle lande più viscerali e intimiste della loro mente, come nel caso di Painting The Night Unreal, col suo lento incedere, cadenzato da una batteria dallo stile jazzistico, una chitarra quasi fusion e un'interpretazione vocale che parte sommessa per esplodere in un grido di rabbia.
Le melodie continuano a farla da padrona e sempre con grande efficacia e minuziosità degli arrangiamenti, come nel caso di The Slow Phaseout e della splendida Blindfolded, ove si colgono echi nei suoni e nei colori di Nick Drake e Burt Bucharach.
Proprio Blindfolded spiega in maniera ineccepibile il segreto del lavoro del gruppo norvegese: melodie semplici e originali, perfetta integrazione fra gli strumenti, armonie vocali superbamente costruite, ritmi coinvolgenti e atmosfere calde e rasserenanti. Un alchimia perfetta, nela quale abbandonarsi senza remore per raggiungere la pace dei sensi.
Le sensazioni di profinda serenità e nemmeno tanto velato ottimismo, non vengono meno neanche quando ci troviamo ad ascoltare una ninna nanna malinconica come When You're Dead, impreziosita dal lavoro al banjo di Hakon e dal calore donatole da una tromba che ci culla fino a quando non cadiamo in un sonno beato, nel quale sognare le spiagge assolate della California e non solo...

Un album controverso, che ha fatto storcere il naso a più di un fan della prima ora, ma che se ascoltato senza pregiudizi e senza aspettarsi di trovarvici i Motorpsycho cui siamo abituati, non può non essere amato profondamente e vissuto pienamente, per cercare, ascolto dopo ascolto, di coglierne particolari differenti e fare incetta del caleidoscopio di emozioni che riesce a regalarci.

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