Spesso l'opera migliore di una formazione rock, il gioiello di tutta la discografia viene prodotto subito prima della decadenza, dello scioglimento o magari di una velleitaria rifondazione con qualche nuovo elemento. Quando la convivenza interna fra diverse anime forti, fra chi vuole fare questo e chi vuole fare quello, è ancora in equilibrio seppur precario, spesso la creatività vola, la varietà stilistica e la consistenza musicale imperano, le lotte intestine tirano fuori il rispettivo meglio dai belligeranti galletti alla guida del pollaio.

E' il caso di questo "Mott", sesto e penultimo album dei Mott The Hoople datato 1973. Parlando dei due galletti del gruppo, il cantante e pianista Ian Hunter è uno strano animale rock con caratteristiche tutte sue: canta spiccicato a Bob Dylan (con molto più fiato e potenza, ovviamente) ma ha pure un bel talentaccio pop/rock, che gli fa scrivere ritornelli anthemici e irresistibili, adattissimi ad uno dei generi in voga al momento, quel glam rock che vede negli Spider From Mars di David Bowie e nei T.Rex di Marc Bolan le osannate guide. Il chitarrista Mick Ralphs è invece il tipico musicista hard blues britannico, devoto ad un genere assai più asciutto e geometrico, con in testa insomma le grandi cose combinate in quegli anni da Zeppelin, Free, Rolling Stones e compagnia, del tutto refrattario invece a lustrini, pajettes, ancheggiamenti, rimmel intorno agli occhi e ritornelli a filastrocca.

Il guaio per lui è che i Mott The Hoople erano riusciti finalmente a sfondare, l'anno prima, grazie a un inno super glam regalato loro da David Bowie, quella "All The Young Dudes" talmente buona che Bowie quasi se ne pentì, provvedendo ben presto a riprendersela e metterla in scaletta anche nei suoi concerti. Hunter ha quindi buon gioco in questo disco, invaso da rutilante rock'n'roll urbano, dai suoi testi acidi e malinconici, dal profumo dei vicoli lerci e mal frequentati della vecchia Londra. Ralphs non potrà fare altro che andarsene dopo queste registrazioni, coronando ben presto, e più che felicemente, le sue aspirazioni rock blues formando la gloriosa Bad Company insieme al nuovo socio Paul Rodgers.

Come in tutte le opere ben riuscite, non c'è un brano da buttare via in "Mott" ed è il caso di spendere qualche parola su ognuno di essi. L'esordio "All The Way From Memphis" è trascinante: il piano ostinatamente ribattuto su di un singolo accordo ci mette un bel po' prima di modulare e farsi raggiungere dalla sezione ritmica, creando una delle intro più lunghe, sospese e trascinanti di scintillante rock'n'roll pianistico, sul quale va poi a soffiare il sax imbrillantinato di Andy McKay (Roxy Music), scambiandosi gli assoli con la chitarra proverbialmente essenziale e penetrante di Ralphs. "Wizz Kid" pare uscita da "Ziggy Stardust", la chitarra ha gli stessi suoni di quella di Mick Ronson (chitarrista e arrangiatore degli Spiders), imperversano i coretti (aaah?) registrati alterando la velocità del nastro, tutti tipici ingredienti del glam, ma il testo si spinge anche più in là, contenendo frasi che precorrono alla grande un certo futuro ("Her dad's a street punk", e siamo nel 1973!). "Hymn For The Dudes" è tutt'altro mondo, anche perché le musiche provengono dall'ex tastierista del gruppo Verden Allen. E' infatti una ballata pianistica enfatica e lirica, col glam momentaneamente accantonato. Ci si avvicina piuttosto ad atmosfere alla Bruce Springsteen (al tempo un perfetto sconosciuto, beninteso), quindi in pratica ad una visione intensa e rumorosa di Bob Dylan, messa a fuoco dalla voce sensibilmente stonata ma magnificamente espressiva di Hunter. "Hanaloochie Boogie" mostra come non mai l'assoggettamento dei riffoni rock blues di Ralphs, autore delle musiche, al verbo glam fatto di suoni ipercompressi e coretti in falsetto, mentre si canta di capelli lunghi, stivaletti e altri orpelli luccicanti. La successiva "Violence" è glam sfrenato e senza pudori, con un testo che più metropolitano non si può, degno del giovane Lou Reed. In "Drivin Sister" Ralphs viene lasciato libero di sviluppare i suoi amati temi senza troppi imbellettamenti, ne risulta un hard rock assai diretto, di quelli che avrà poi modo di perfezionare alla grande nella sua successiva e definitiva formazione. "Ballad Of Mott" è, a contrasto, un brano musicalmente del tutto asservito al suo verboso testo, in cui Hunter dà un quadro di cosa sia la vita on the road nel rock'n'roll circus, chiamando in causa direttamente se stesso ed i suoi compagni di percorso. "I'm A Cadillac" è cantata da Ralphs, la sua voce debole e poco efficace suona da contentino finale, prima della dipartita del musicista dal gruppo, ma la lunga coda strumentale ("El Camino Doloroso") è inauditamente uno dei vertici dell'album! Il grande chitarrista incrocia una chitarra acustica con continui interventi all'elettrica, suonata col ditale slide, mostrando l'incredibile classe, gusto e misura di cui è dotato. Uno di quei musicisti che si fa apprezzare soprattutto per quello che NON suona, capace di aumentare forza e significato di ciò che suona. L'epilogo è delegato alla iperdylaniana "I Wish I Was Your Mother", con Ralphs al mandolino ed un bellissimo testo di Hunter.

Chi adora "Ziggy Stardust And The Spiders From Mars" e non conosce questo disco non può assolutamente lasciarsi sfuggire l'esperienza del suo ascolto. Personalmente li ritengo i due colossi del glam rock, con una certa preferenza per ? "Mott", il che è tutto dire data l'eccelsa qualità del ben noto exploit di Bowie.

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