La vita è strana. Imprevedibile, come minimo. Sarà pura retorica ma è anche pura verità. Così ti capita di cazzeggiare in internet, o sfogliare le pagine di un giornale, e trovare il nome di un gruppo che altrimenti non avresti mai scoperto in altre circostanze. Mi è capitato spesso, mi è capitato anche con i Mourning Beloveth, formazione irlandese con tre album all'attivo, che fin dalla seconda metà dei '90 diffonde magistralmente il verbo del doom metal più intransigente. Anche il loro precedente "The Sullen Sulcus" (splendido album) rientra nella mia collezione, ma per quanto bello non riesce a raggiungere il livello di "A Murderous Circus", denotando una mancanza di maturità che, seppur lieve, viene raggiunta solo dal nuovo lavoro.
Questo disco io l'ho comprato. Dico la verità: non credo avrei potuto spendere meglio quei 17 euro che mi erano rimasti. Ammetto di essere stato attirato in primo luogo dalla copertina: una bambina bionda, una croce penzolante, uno sfondo grigio, uno scenario apocalittico. I suoi occhi sembrano persi nel vuoto e allo stesso tempo, fissi e decisi. Come la musica della band, che oscura tutto quello che ha di fronte nel momento in cui schiacciamo il tasto PLAY. E lo fa costruendo divagazioni soft, arpeggi kilometrici e riff da una tonnellata e mezza, lenti come una 500 imbottigliata in un ingorgo sul grande raccordo anulare alle 7.00 di mattina. Il tutto con una sensibilità musicale di categoria superiore, alternando momenti di "calma" a strutture chitarristiche e melodie da non sottovalutare, mica composte dall'ultimo arrivato. Insomma, tremendamente doom, eppure quanto di più lontano ci possa essere dal "noioso". Annichilente, disperato, infernale e parallelamente paradisiaco. 5 canzoni per 75 minuti di musica, un macigno di dolore che si abbatte sulle orecchie (e sull'anima) del malcapitato ascoltatore, fotocopiando emozioni e triturando ogni speranza, in un vortice di note grigie e uggiose come neanche il cielo di Londra una domenica mattina di pioggia.
I profondi growl di Darren si uniscono alle clean vocals del chitarrista Frank, mentre sotto Tim pesta come un dannato alla batteria, macinando ritmiche che ricordano molto da vicino i migliori My Dying Bride, mentre è soprattutto l'atmosfera a fare da padrone: la malinconia si fa musica, nient'altro da aggiungere.Mettiamo le cose in chiaro: "A Murderous Circus" NON è un capolavoro. Il fatto che a me sia piaciuto in maniera esponenziale non significa che starò qui ad incensarlo come fosse una rivelazione, quando so benissimo che non sono poche le band in grado di realizzare album come questo. Si tratta insomma di un disco fortemente canonizzato entro gli stilemi più classici del cosiddetto doom metal estremo. Ciò non toglie tuttavia che i Mourning Beloveth posseggano non solo ottime capacità, ma anche una discreta personalità che, in qualche modo, riesce a farli spiccare dalla massa. Per questo sono fiero di aver comprato quest'album e di ascoltarlo tutt'ora: perché anche una piccola band di uno sperduto paesino irlandese è composta da esseri umani, che provano emozioni e sofferenze, e sono in grado di metterle in musica.
"A Murderous Circus" è il dolore visto dai Mourning Beloveth, onesto e sincero, niente più, niente meno. Non sarà certo un "Turn Loose The Swans" dei Bride e nemmeno un "Lead And Aether" degli Skepticism, è vero, ma io lo accetto così com'è. Niente di indispensabile, in definitiva: chi ama il doom metal farà però bene a stamparsi bene in testa il nome di questa band. Perché il doom è un genere di nicchia, ma chi lo sa fare bene c'è e magari ci passa sotto il naso quando meno ce ne accorgiamo.
DOOM OR BE DOOMED!
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