Sotto un sole che secca le vene, asciuga il sangue e inaridisce anche i pensieri mi ero imposto di resistere, di sfoderare un po' di sano masochismo e di uscire dall'assenza di pulsioni e passioni. Mi capita poche volte e, quando succede, cerco di rivitalizzarmi subito. Come al solito evito di andare uno ad uno nella descrizione del disco e di iniziare col dirvi che questo album è uscito nel 2009 perché sennò la recensione mi farebbe cagare, sarebbe troppo aderente a ciò che il lavoro dei nipponici esprime e non entusiasmerebbe neanche me che ho proprio sofferto all'ascolto. Di aderente, al limite, potrei parlarvi delle autoreggenti parigine che a un certo punto mi hanno fatto venire in mente, che custodivano due perfetti assi convergenti in un organo sessuale femminile carnivoro ma sarebbe troppo e del tutto personale. Quindi, vediamo in quale medio termine sta la virtù.
Il deserto di stimoli, in ogni caso, ieri sera mi ha letteralmente steso sul divano per poi farmi impugnare il meschino telecomando, per poi farmi premere un tasto a caso, per poi condurmi all'autoschifo da un lato e sui Rai3 dall'altro. Il sor Calabresi, autore del libro "La fortuna non esiste", che ho recentemente trovato abbandonato in un hotel e che ho letto con molto disinteresse, regge una trasmissione che mi aspettavo di trovare nel palinsesto di Rai 3, alla luce dei successi elettorali conseguiti dal centrosinistra alle amministrative. E' una trasmissione populista che cerca di cavalcare l'onda e di vendere la marca Italia come paese fiero, in ascesa, orgoglioso del proprio essere, civile, ecologicamente corretto, dai comportamenti sostenibili. Sembra quasi una lezione di educazione civica 3.0 e invece, il criccone mediatico che dice di avere il bavaglio, ci propina lo stesso genere di trattamento del sor Silvio, con gli stessi mezzi ma cambiando i contenuti. Mi fa sempre più schifo l'italiano, perfetto riverbero dell'occidentale, del consumista. Per questo l'unico esserere che ho apprezzato nel corso della trasmissione è stato il cuoco giapponese (e consumista) venuto in italia a rubarci il mestiere. Come faceva notare un cuoco italiano, i giapponesi sono precisi e vanno alla ricerca del gusto. Quel ragazzo che parlava un italiano di merda, o forse buono visto che sta qui da sei mesi, ecco, in sei mesi è prima diventato cuoco di cucina tradizionale e poi pizzaiolo! E scommetto che fa una pizza della madonna.Del discorso Italia amata dagli stranieri me ne fregava men che meno, ma del discorso giapponesi che hanno a cuore le materie prime da combinare per fare grandi cose, nel rispetto delle stesse, bene, lì mi trovo completamente avvolto in una emulsione di stimolo e interesse. E qui scatta il link. Mentale, ovvio.
Questi giappi, questi mandorlati che dicono sempre sì col sorriso e si genuflettono in segno di rispetto, sono davvero dei grandi. Partiti dall'ep Sezession, dimostrano fin dal titolo dell'opera prima di essere un po' come quegli artisti che diventano classici ma che si sono rotti gli affari di famiglia a rispettare regole secolari e tradizioni dogmatiche. Sezession, come titolo, richiama la secessione viennese del 1897: ignoranti in materia, date uno sguardo qui. Poi arriva questo oggetto ansioso, i ritmi musicali assomigliano a quelli di un'anima infilzata da tanti punti interrogativi e tenuta in piedi con pochi punti fermi. Il più grande che ho trovato è che questa gente sa suonare davvero bene. E che più che di canoni sembrerebbe fatta di cannoni, per come si diverte a virare il jazz verso lidi impropri. Ma non è così. Dopo quella della faiga e questa dei cannoni mi dovrei tagliare le mani. Non le cancello solo per espormi al pubblico ludibrio. Adelante.
I MOTK sono in tre, due suonano tastiere/piano, l'altro decide alla batteria quali botte di vita concedere o di che morte morire. La base ritmica dell'album è sempre spettacolarmente dominata dall'omino dietro le pelli che detta ritmi jazz, post rock e alle volte prende le vie del math. D'altronde lui di cognome fa Kawasaki e non poteva che tirare abbestia. I paesaggi sonori che si vengono a creare sono davvero molto interessanti, fuorvianti, spiazzanti. L'altro lato della medaglia, però, dice che l'effetto madovecàsonofinito dura poco: ogni brano, dopo averti colto a sorpresa, poi ti prende dalla cotenna e affonda la tua testa nell'acqua. In pratica ti trovi immerso in questi stati d'animo altrui e li devi fare tuoi per necessità: forzata o meno, è una osmosi cui l'ascoltatore non può che offrire il suo profilo più arrendevole e cedevole, facile da anestetizzare.
Come dire, c'è il nichilismo vissuto come sentimento umano, e quindi l'astrattezza del concetto prende corpo in una visione di uomo, e quindi anche calore. C'è il disagio che non è una proiezione di sé sull'esterno, quasi a cercare discolpe, ma è una serie di domande che incalzano dentro. C'è tanta nebbia e tanta vivacità. Quando si sta male, si producono grandi effetti dentro. Bisognerebbe prenderne nota e i giapponesi in questione pare che l'abbiano fatto. Salvo poi mettersi in studio, ragionare, riscrivere, ottimizzare, prendere la materia musicale proveniente da altre lande e ricostruirla nella sua forma più originale e sentita.
Kawasaki & co rispettano la musica, rispettano le proprie instabilità e ti mandano a fare la carbonella di belzebù avendoti prima messo davanti alla tavola sinottica dei tuoi cedimenti, dei tuoi mali e delle tue piccole nevrosi.
Un album emozionante, adatto a tutti meno che a quelli che seguono la vile massa, oggi in fase di migrazione verso i programmi educati e confromisti di Rai Tre.
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