I Mt. St. Helens Vietnam Band a dispetto del nome vorrebbero essere presi sul serio. Il giovane (il batterista ha 15 anni) quintetto di Seattle punta le proprie onde sonore verso un pubblico non conforme agli schemi.
In questo secondo album il loro art-rock ha perso parte dell’esuberanza legata all’omonimo debutto del 2009 per addentrarsi in ambienti più introspettivi ed inquietanti. L’impressione è quella di trovarsi di fronte ad un lavoro incompiuto. Non solo la personalità del gruppo non riesce ad emergere in queste 12 tracce ma perfino le canzoni migliori (pur spiazzando l’ascoltatore) non lasciano il segno. Quello che ne risulta è un sound freddo, che non vuole o non riesce a incidere; e soprattutto la volontà della band di suonare originale, nonostante vari accorgimenti azzeccati, non emerge mai.
Siccome non tutte le ciambelle riescono col buco il giudizio non può essere del tutto negativo, anche perché delle carte da giocarsi i giovini rockers qua e là tendono a mostrarle. Ad esempio nella buona apertura di “At Night”, pezzo che richiama le composizioni dei più acidi Cold War Kids e “Leaving Trails”, che con i suoi ululati e le chitarre acuminate ricorda nientepopodimeno che Thom Yorke. Seguono una serie di brani depressi più o meno anonimi in cui l’influenza maggiore è quella dei Calla.
Verso la fine ci si riprende con l’insofferente “Walkmeniana” “In a Hole” e “Cadence”: triste altalena all’insegna dei primi …Trail Of Dead, toccante la ninna nanna conclusiva di “George Clark”.
In attesa del superamento della pubertà, questa band dal nome impronunciabile un ascolto se lo merita.
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