"Fathers And Sons": obiettivo passare il testimone del blues dai veterani ai giovani, senza che per questo i "padri" abdichino; creano soltanto nuovi adepti. E quando i "padri" sono la leggenda Muddy Waters ed il pianista Otis Spann e i "figli" Paul Butterfield, Mike Bloomfield, Donald "Duck" Dunn e Sam Lay rischiamo di trovarci di fronte ad un gran disco.

Le aspettative vengono rispettate in pieno, la band gira intorno alla carismatica figura del leader, che da par suo intreccia le corde della sua chitarra con quelle dell'allora ventitreenne Bloomfield, talento americano già alla corte di Paul Butterfield, Black Flag e Al Kooper. L'idea di rilanciare Muddy Waters dopo gli scempi di "Electric Mud" e "After The Rain", con metà della Paul Butterfield Blues Band più un bassista spiccatamente soul e funk come Dunn (Booker T & The MG's), è sicuramente vincente: "Fathers And Sons" spazza via i recenti insuccessi del bluesman dando nuova linfa alla sua musica. Su tutti spiccano l'ispirazione dello stesso Butterfield, che con la sua armonica quasi sovrasta gli altri strumenti e condisce costantemente l'aria, e la comprovata arte pianistica di Otis Spann, alla corte del leader americano dal lontano '52, ma se la sezione ritmica pone delle solide fondamenta al suono, a deludere (almeno parzialmente), è l'apporto di Bloomfield, vittima di un certo timore reverenziale che lo limita nelle esecuzioni.

"All Aboard", incipit dell'Lp, con la sua armonica impazzita introduce al meglio quello che è il tema portante di tutto il lavoro, che vede alternarsi blues monolitici ("Forty Days And Forty Nights"), slow blues ("You Can't Lose What You Never Had") e pezzi di volta in volta funambolici, rockeggianti e puri divertissment ("Walkin' Thru The Park"); inoltre "Mean Disposition" e "Standin' Round Cryin'" rallentano il ritmo, dando l'impressione di trovarci dinanzi alle sessioni di registrazione dell'album "Folk Singer", suonate stavolta in versione elettrica anziché acustica.

Come se non bastasse al disco in studio ne viene affiancato uno dal vivo, che vede il bluesman, sempre affiancato dalla sua band, cimentarsi in alcuni pezzi storici: ecco che "Long Distance Call" diventa un bellissimo pezzo elettrico senza perdere quel feeling che ne faceva uno dei migliori episodi di "Folk Singer", mentre "Baby Please Don't Go" e "Got My Mojo Working (Part I & II)", col loro incedere trascinante, fanno ballare la platea e l'ascoltatore.

Blues dalla prima all'ultima nota, e il passaggio di consegne è compiuto.

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