Ciao boys&girls. Parliamo un po' di Blues.

Allora, Muddy Waters ce lo avete presente? Leggendario bluesman Muddy, è stato forse il principale artefice della svolta elettrica del Blues, quella del Blues urbano, del Chicago Blues. Ma ora voglio parlarvi di un disco successivo a quella fantastica epopea Blues, sebbene altrettanto leggendario. Ecco a voi Hard Again, l'album del 1977 che segna l'inizio della collaborazione fra Muddy e il chitarrista Johnny Winter.

Johnny all'epoca era uno dei più spettacolari chitarristi rock'n'blues in circolazione, ma la sua vera passione era il vecchio Blues, capito? Quello buono, quello pieno di feeling. Quindi, aproffittando del fatto che Muddy fosse momentaneamente senza casa discografica - dopo una vita passata con la Chess - gli propose di registrare qualcosa insieme per l'etichetta Blue Sky (filiale della Columbia Records). In breve tempo fu messa su una band di quelle da farsi venire i brividi, una vera blues band, tosta tosta, con musicisti ben rodati, molti dei quali già suonavano da tempo con Muddy: Johnny Winter chitarra e slide, Bob Margolin altra chitarra, Pinetop Perkins al piano, il sublime, divino e onnipotente James Cotton all'armonica, Charles Calmese al basso e Willie 'Big Eyes' Smith (no, non è il principe di bel air) alla batteria. Muddy alla voce, e basta, infatti stavolta non suona la chitarra, si limita a cantare, ma cavolo che voce! 

La chitarra la tiene lì con se, vicina, quella bella Telecaster rossa, come un talismano, ma non la suona, le parti di chitarra le fanno tutte Winter e Margolin. L'idea di Johnny era di fare un disco vecchio stampo, che suonasse genuino come quei bei dischi Blues di una volta. Quindi si trasferirono tutti in Connecticut, allo studio Schoolhouse, uno studio casalingo diciamo, molto spartano, di quelli con l'essenziale e niente più, senza cabine di isolamento per i diversi musicisti, e Johnny decise che tutti avrebbero suonato insieme, nella stessa sala, contemporaneamente, in modo da avere un'atmosfera live. La cosa fu ancora più enfatizzata dall'utilizzo di un bel paio di microfoni piazzati sul soffitto al centro della sala in modo da catturare il suono dell'ambiente. Muddy il fulcro, il cuore, gli altri intorno... e si dia inizio alle danze.

Il primo giorno fu di solo soundcheck, perchè Margolin, Cotton, Smith e Calmese la sera prima avevano fatto le ore piccole e stavano fuori di brutto. Nei due giorni seguenti invece avvennero le registrazioni vere e proprie, solo un paio di giorni quindi per incidere questo gran discone Blues. Johnny, oltre a suonare era anche il produttore del'album, quindi fra una take e l'altra andava in console a sentire un po' i risultati, un vero factotum, insomma si è fatto il mazzo, come dicono a Oxford. Le canzoni registrate furono nove, poi sul cd remasterizzato è stata aggiunta un'altra traccia.

Il disco parte subito forte con quello che personalmente considero Il Classico del Blues: "Mannish Boy". Allora, chiariamo un po' le cose, i bluesman hanno sempre amato citarsi fra loro, rielaborare le cose di altri ecc, e questo è un po' il caso di Mannish Boy. Tutto deriva da "Hoochie Coochie Man" di Willie Dixon, e registrata la prima volta dallo stesso Muddy Waters e Dixon al basso. Poi arrivò Bo Diddley, che basandosi su quella, fece "I'm a Man". Quindi giunse Muddy con la sua "Mannish Boy" in risposta a I'm a Man. In definitiva si può dire che Mannish Boy deriva da Hoochie Coochie Man, filtrata attraverso Diddley. Cioè, alla fine, come si suol dire, the song remains the same, la canzone è sempre quella, ma con titoli, parte dei testi e interpretazioni diverse.

Come se non ci fosse già abbastanza casino, anni dopo arrivò George Thorogood e su tutta questo groviglio ci piazzò "Bad To The Bone", praticamente una versione bastarda e incazzata, per camionisti e vaccari, di Mannish Boy, o di I'm a Man o di... emmò basta. Il brano resta uno di quei pezzi da novanta del blues, leggendari e immortali, con un groove che ti prende subito sin dall'inizio con quel tara rarà, un riff semplice e dannato, ossessivo e ipnotico che si ripete per tutto la durata e un Muddy che canta con l'autorità che solo i grandi possono permettersi. Bella tosta insomma, quasi esaltata, potente, secca, senza fronzoli, una vera killer song.

Segue "Blues Driver", un classico slow blues in dodici battute, e qui Cotton comincia a darsi da fare seriamente con la sua armonica infuocata. Ebbene si, il protagonista assoluto del disco, dopo Muddy, è Cotton. Le chitarre qui sono splendide, deliziose, ci sono grandi intrecci, fra le sei-corde e fra loro e il piano, ma è l'armonica a farla da padrone, qui e un po' in tutto il disco. Disco che prosegue con la più sostenuta e allegra "I Want to be Loved" nella quale chitarre e armonica a eseguire lo stesso riff sovrapposte. A dir poco dirompente, schiacciasassi l'assolo di Cotton in "Jealous Hearted Man". In "I Can't Be Satisfied" sono protagoniste principali le chitarre acustiche, con un ottimo assolo slide di Winter, e stavolta l'armonica si prende una pausa.

Con "The Blues Had a Baby and They Named It Rock 'n' Roll" si va sul boogie, bello sostenuto, con sezione ritmica in primo piano e batteria granitica. Il pianoforte di Perkins è sempre lì, in sottofondo, ma a creare tappeti sonori bluesy efficacissimi, cosa molto evidente ad esempio in "Crosseyed Cat". I due chitarristi di certo non stanno a guardare, vi sono fraseggi e assoli brevi, ma continui; senza eccedere con lungaggini, fanno il loro, con poco fumo e tanto arrosto, tutto gusto e sostanza insomma, come la merendina, anzi meglio della merendina.

E alla fine dell'ascolto le gerarchie sembrano abbastanza chiare - nel disco c'è spazio per tutti, ma i protagonisti assoluti restano Waters e Cotton, con Winter e gli altri subito dietro e il risultato è un disco con punte di eccellenza e virtuosimo notevoli, ma allo stesso tempo corale, coinvolgente, intenso. Fra un brano e l'altro si sentono i musicisti parlare e spesso durante le esecuzioni si possono ascoltare grida d'incitamento fra loro, a testimonianza dell'atmosfera gioiosa ed eccitata nella quale fu realizzato l'album.

Puro, rovente e vigoroso, Hard Again sprizza Blues da ogni suo solco. E poi, ragazzuoli belli, la voce di Muddy è la voce del Blues, basta quell'iniziale "Oh Yeah" per andare in brodo di giuggiole. Se poi consideriamo che questo Colosso del Blues qui è accompagnato da musicisti fantastici, ed è registrato che sembra live, con un sound pieno, ricco, ma allo stesso tempo essenziale, beh, allora, non si può che mettere il punteggio massimo. Dopo questo album la collaborazione fra Winter e Waters continuò ancora con altri due dischi, I'm Ready e King Bee, di ottimo livello, ma questo primo capitolo della trilogia resta forse il migliore, il più fresco, il più ispirato e poi qui c'è Cotton, negli altri due no. Se vi piace il Blues dovete farlo vostro.

Carico i commenti...  con calma