Io voglio bene ai Mudhoney, impossibile non volergliene.
Nati dalle ceneri dei Green River, tra i padri fondatori del grunge, qualsiasi cosa esso sia; maestri di un rock che sa di fango, fuzz, scantinato, miele, malattia, pezzi di torta e film di tettone anni ’60. Dal 1988 ad oggi sono sempre e ancora in giro a suonare come piace a loro, con un successo commerciale molto al di sotto di ciò che meriterebbero. Dopo averci dato importanti lezioni di coerenza musicale, di copertine fuori moda, di titoli assurdi e di abusi di fuzz, i Mudhoney mostrano anche come dovrebbe essere fatta una raccolta come si deve. In verità io tendo ad evitare le compilation. Non perché siano operazioni commerciali in sé: dovranno pur mangiare questi poverelli. Il fatto è che i greatest hits sono solitamente di un'inutilità sconvolgente. Quindici canzoni tra le più famose di un gruppo, ignorando solitamente gli episodi meritevoli ma meno orecchiabili, più qualche inedito scartato dagli album precedenti, di solito per motivi ben giustificati. Oppure bombardamenti di compilation una dietro l’altra o, peggio ancora, un greatest hits per un gruppo che ha fatto si è no tre album.
I Mudhoney invece sono sì dei lercioni, e noi li amiamo anche per questo, ma anche dei bravi ragazzi,e a loro piace fare le cose per bene. "March to Fuzz", il cui titolo è un programma, esce nel 2000 sotto Sub Pop. Si tratta di un doppio album, eccellente compendio della carriera del gruppo di Mark Arm. Il primo disco è il best of vero e proprio: equilibrata selezione di canzoni dagli album fino ad allora usciti, senza dimenticare ovviamente i loro inizi riassunti in quel favoloso "Superfuzz Bigmuff plus Early Singles", insuperato capolavoro di marcescenza rock. Certo, dirà qualcuno, le canzoni dei Mielfango non brillano certo per eterogeneità, né i loro singoli di punta sono tanto più morbidi delle loro canzoni più putride: "Touch Me I’m Sick" e la cover di "Hate the Police" dei Dicks non sono forse tra le loro canzoni più famose? Proprio per questo una buona selezione di ventidue tracce non è facile. La vera perla arriva però con il secondo disco, e questo sì che giustifica l’acquisto di "March to Fuzz": il disco di rarità. Inediti e b-sides che non sfigurerebbero in nessun album ufficiale e una gustosa raccolta di cover di Motörhead, Elvis Costello, Sucide, Black Flag e del peggio del punk anni ’80, come Angry Samoans e The Adolescents. Le cose fatte come si deve allora: nessun calo di qualità pietoso, nessun abuso di cover, nessuna inutilità. Per questo non vale la pena citare una canzone piuttosto che un'altra, qui c'è solo un assaggio di fango e miele.
Va bene, è pur sempre una compilation, quindi d’utilità ed importanza relativa. "March to Fuzz" è pur sempre un ottimo riassunto della carriera dei Mudhoney nell’epoca 1988-2000, davvero utile se non si ha voglia di ascoltare tutti i loro album o se si vuole centellinare gli ascolti poco a poco: si tratta pur sempre di cinquantadue (52) tracce ed ascoltare tutte di fila risulterebbe leggermente confusionario. Però è anche questo il motivo per cui sono personalmente affezionato a questo disco: ascoltarlo a piccoli pezzi poco per volta mi ha accompagnato per molto tempo prima che mi decidessi ad ascoltare finalmente ogni album per esteso. Unica vera pecca della raccolta l’assenza di "When in Rome", "Magnolia Cabhoose Babyshit" e dell'"Halloween" dei Sonic Youth, ma non si può avere tutto nella vita.
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