Cioè ho sbagliato a cliccare, o ancora su Debaser non c'è una recensione sui Mudhoney?? Mah, vabbuò, ora ci penso io.. non si può certo stare inerti a osservare una nuova generazione che osanna gruppi orrib... vabbè, insomma discutibili come Vines, Jet, Hives e compagnia bella e non conosce il vero significato della parola Garage. Certo potrei anche tornare indietro e parlare degli Stooges ma sarebbe alla fin fine banale, e sopratutto difficile, quindi parlo dei Mudhoney.
Prima di tutto, i Mudhoney sono Seattle; cioè Mark Arm, chitarra e urli, prima del Miele di Fango faceva parte dei Green River, capito? Una delle prime selvagge ultradistorte formazioni di quello che poi qualcuno volle definire "Grunge". Chi se non Mudhoney sono Seattle? Confezionarono i Mudhoney, nel lontano 1989 il primo inno e poi il primo grande disco di una generazione. Ed ebbero anche il gran buon gusto di chiamare quel disco col nome di uno dei più selvaggi ed efferati effetti per chitarra mai creati: quel fuzz macilento, ridondante grasso sporco e cremoso che passa sotto il nome di Big Muff. Perchè anche loro erano cosi: selvaggi e sfrenati, grassi e marci.
Da un po' di anni la Sub Pop vi spara Superfuzz Bigmuff in edizione speciale con in più tutti i primi 45 giri dei nostri, cioè un capolavoro assoluto. E se volete il primo singolo, quel terrificante inno chiamato "Touch me I'm sick" ve lo trovate anche in versione 45 giri a soli 7,50 dollari sul sito della Sub Pop. E vi assicuro che non solo il contenuto, ma anche la copertina vale eccome l'acquisto: una latrina del cesso stampata in primo piano e null'altro. Semplicemente geniale.
"Touch me I'm sick" è l'apertura di Superfuzz Bigmuff nella nuova veste; un terrorifico garage che non è solo riproposizione degli esperimenti anni '60, ma diventa una cupa e sgraziata e violenta colonna sonora di una generazione ben più disillusa; la storia di un malato di AIDS. La B-side non è da meno: "Sweet Young Thing Ain't Sweet No More" è blues calato in una coltre di distorsioni e slide di psichedelica reminiscenza, ma con un'attitudine viscerale e pessimista che lo rende unico, e al di la dell'apparenza "vintage" anche terribilmente attuale; due marci gioielli. L'altro grande capolavoro della parte dedicata ai 45 è la cover di "Halloween" dei Sonic Youth, immaginatevela un po' meno eterea che nell'originale e in compenso più tribale, disperata e pesante (nel senso di "heavy"), quasi se possibile superiore alla versione di Bad Moon Rising. Il disco vero e proprio è quasi sempre altrettanto malatamente fascinoso: da dolenti ballads come "If I Think", a sparate distorte come "No One Has" o "Need", quest' ultima quasi più Husker Dü che Detroit.
I Mudhoney tessono storia del rock degli ultimi 25 anni, per quanto ovviamente negletti nelle vendite. Viscerali e spietatamente sinceri, la loro frenetica violenza è più una necessità che una scelta, quasi come se la loro musica fosse una propaggine spontanea della loro anima; un'attitudine, se di attitudine si può parlare, che alla fine è la cosa più bella che abbia regalato il rock di Seattle.
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