Nonostante siano stati tra gli autentici inventori del grunge, i Mudhoney non hanno mai avuto i giusti riconoscimenti. Troppo apatici e inguaribilmente cazzoni per apparire sulle copertine delle riviste patinate. Capaci persino di pubblicare un brano irriverente - “Overblown” - sulla scena di Seattle nella colonna sonora di “ Singles” quando ormai il fenomeno stava monetizzando e i vari Versace e Dolce/Banana copiavano i maglioni sbrindellati di Cobain (RIP).
Eppure di quella stagione Mark Arm e soci sono gli unici ancora in giro, e persino nel ruolo di chi non sbaglia più un disco. Dopo gli ottimi “ Tomorrow hit today” e “Since we’ ve become translucents” , ecco servito “Under a billion suns” , la cui gestazione è stata a dir poco chiacchierata, in quanto gli si attribuivano inusitate prerogative politiche. In effetti ciò corrisponde a verità, e gran parte dei brani sono pieni di strali anti-Bush. Ma nessun problema: non c’ è dietro l’angolo la furba attitudine dei System Of A Down o la retorica degli ultimi Green Day. Come a suo tempo nell’irripetibile anthem “Touch me I’ m sick” , che con la consueta attitudine guascona fotografava le paranoie dell’ America reaganiana in pieno incubo AIDS, anche qui la vena politica si snoda su registri beffardi e ironici. Davvero spassosa è in tal senso "Hard-on War” , in cui si parla di “horny old man always eager for war”.
Inoltre, la materia sonora maneggiata dal gruppo è talmente eccitante da essere impermeabile a qualsiasi banalità. Stilisticamente, “Under a billion suns” non si discosta molto dai precedenti lavori. E’ un altro felice tentativo di riverniciare il registro stilistico dell’immortale “Superfuzz bigmuff”, con l’ utilizzo di nuovi strumenti: eccellente ad esempio lo xilofono su “Endless yesterday”, ricca di sorprendenti sfumature psichedeliche. Nonostante manchi la seminale urgenza del loro debutto, le chitarre di Turner e Arm suonano ringhiose e sfavillanti, in un delirio garage-stoogesiano da brividi, oppure torride come da lezione Blue Cheer (si ascolti “A brief celebration of indifference” ). Anche tale impronta è stata tra quelle che preclusero il successo di massa ai Mudhoney, visto che la maggior parte dei grunge heroes (dai Soundgarden ai Pearl Jam) forgiò il proprio sound attorno al ben più redditizio archetipo zeppelliniano.

Forse adesso i tempi sarebbero propizi, visto il successo che arride a poseurs rock and roll quali Babyshambles, Strokes o Hives, ma ve lo immaginate quel reietto di Mark Arm a TRL o sulla copertina del NME ? Peccato, perché se si parla di “ energia rock and roll" ai giorni nostri – in episodi come “ Blindspots”, "I saw the light yesterday” , “It is us” , o in una "Empty shell” che sembra una “Need” nuova di zecca – qui se ne trova da vendere. Che il Dio del rock – se davvero ne esiste ancora uno – ci preservi a lungo questi adorabili ubriaconi.

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