MILLER DIGNITOSO ARTIGIANO DEL PIANISMO HARD BOP, tra Oscar Peterson e McCoy Tyner
Nella galassia degli artigiani del jazz c’è anche Mulgrew Miller, di cui riassumo due righe di biografia tanto per capirci. Dunque: pianista americano nato in Mississippi nel 1955; formatosi come sideman alla scuola di due importanti batteristi del periodo post-bop come Art Blakey e Tony Williams, ha pure avuto una dignitosa posizione di band leader soprattutto al decennio 1985 – 1995. Delle sue varie e spesso effimere formazioni, Trio Transition si riferisce ad un tour giapponese del 1987 di cui questo disco omonimo ci dà testimonianza.
Non che sia un album che uno dice: caspita, adesso me lo cerco! e tuttavia se capitasse di trovarlo spulciando un catalogo credo che possa valere ancora oggi l’ascolto. In effetti siamo al meglio della maturità espressiva del buon Mulgrew, che resta compreso nel quadro di un mainstream hard-bop ma sa coniugare con disinvoltura la rielaborazione di standard come la rilassata «Like Someone I Love» o la trascinante «I Hear A Rhapsody» e composizioni proprie come «No Sidestepping»; «Second Thoughts» e «Whisper», passando per un classico di Freddie Hubbard come «Up Jumped Spring»
La gradevolezza complessiva del suo stile non brilla però per originalità: resta sempre a cavallo tra l’eleganza di Oscar Peterson e l’enfasi espressionista di McCoy Tyner, ma senza particolari acuti emozionali. Né lo aiutano i due partner: Reggie Workman al contrabbasso e Fredrick Waits alla batteria, entrambi di una generazione precedente quella di Miller, sono due onesti comprimari che fanno il loro dovere e poco più, nel senso che – a parte l’efficacia della ritmica – il loro contributo specifico si limita a firmare ciascuno un pezzo: il vivace samba «Shades Of Angola» per Workman e «Two Faces Of Nasheet» per Waits. Dei due, più interessante quest’ultimo che si rivela una sghemba ballad profumata di esotismo e ben interpretata da Miller con piglio tyneriano.
Essenziale – anche se completa nelle informazioni - la grafica della giapponese DIW Record, mentre le foto di copertina – di taglio volutamente eccentrico quelle in b/n sul fronte e didascaliche quelle a colori sul retro – sono al minimo sindacale.
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