Che succede quando invece di un film normale si fa un film parodizzando i vari generi filmici? A questa domanda risponde Il grande Lebowski, capolavoro dei Fratelli Coen, già registi del divertentissimo "Fratello dove sei?".

Il Grande Lebowski è un ottimo film, che può vantare di molti punti a suo favore: un cast eccezionale e ben in sintonia, una colonna sonora da urlo, una sterminata serie di parodie e citazioni e una costante vena ironica, ecco quali sono i pregi maggiori del film.

Già dall'inizio del film notiamo la vena ironico-malinconica che fa da perno al film ed è tipico di una certa generazione di westerns. È proprio un tipico cowboy che narra la vicenda di Drugo (o Dude, pivello in inglese, termine utilizzato peraltro anche nella comunità Hippy, della quale il protagonista ha fatto parte) un giovanotto costretto da una serie di eventi - che inizialmente paiono sconnessi ma che in fondo al film riveleranno la loro vera natura di collegamento - a diventare un novello investigatore, sullo stile più prettamente proprio di Sam Spade o di Philiph Marlowe, due fra i protagonisti di libri e film noir più conosciuti.
Dalla personalità di Drugo si evince come il film riesca nel suo intento: anch'egli, come la maggior parte dei protagonisti di noir, è un personaggio disilluso, un ex-hippy che si rende conto di come il mondo sia cambiato e che si rifiuta di accettarlo. Il bowling, sua unica distrazione, funge da collegamento tra di lui e il mondo, ben rappresentato dai suoi due amici: Walter, un folle ex-reduce dal Vietnam, e Donnie, un povero ragazzo sciocco e pauroso, sempre rassicurato dal compagno giocatore. Le caratterizzazione sono ottime non solo nei personaggi principali e che vediamo più spesso sulla scena, ma anche da quelli secondari. Quindi assieme al trio troviamo anche il ricco e ignobile Lebowski (omonimo del protagonista), la scostumata moglie Bunny, la figlia degere che tenta di staccarsi dalle orme del padre e il pornografo, altre incarnazioni della perversa natura umana. Aggiungiamo poi il tassista irascibile ed altri piccoli personaggi solo abbozzati (come il bambino o l'uomo che ha appena pagato a rate l'auto o il giocatore pedofilo Jesus) e ci rendiamo conto di come le cose non siano state lasciate al caso. Con pochi tocchi infatti i fratelli Coen sono riusciti a dipingere la nostra società. Non dimenticando i nichilisti (vera e propria rappresentazione di un certo quadro sociale anni '80) ed il quadro è completo. Tutti questi personaggi contribuiscono alla rappresentazione del mondo, in molte delle varianti di cui l'umanità è fornita.

Aggiungiamo al calderone che rende inconfondibile il film le numerose citazioni cinematografiche: l'onniscente cowboy, lo sceriffo simile a Heartman di Full Metal Jacket (e il suo imperdibile discorso da noir, con evidente citazione su Malibù e sul romanzo di Chandler "La signora nel lago"), la macchina in fiamme (notevole citazione dall'originale Ben Hur), il blocco note di Intrigo internazionale e le numerose riprese dai vari film di gangster, polizieschi e noir, tutto questo senza dimenticare il lato comico della vicenda.
Infatti nel Grande Lebosky si ride, e si ride di gusto. Il suo stile divertente e canzonatorio, le scenette ripetute all'infinito con piccole variazioni (come possono i battibecchi tra Drugo e Walter non rammentare quelli tra Stanlio e Ollio, o Lewis e Martin?), la spietata parodia di tutti i generi filmici fanno di questo film un pezzo di cinema imperdibile. Infatti i Fratelli Coen sono riusciti nel loro difficile intento: coniugare in una miscela inarrestabile il serio e lo scherzoso, il realistico e il facezio, riuscendo però a rendere la storia credibile e a far riflettere. Scusatemi se è poco. Non è il solito divertimento fine a se stesso, bensì un divertimento ragionato, con una punta d'amarezza.

E in tutto questo non va dimenticata poi l'esplosiva e inperdibile miscela rappresentata dalla colonna sonora, che mischia pezzi di tutte le età, evidentemente azzeccatissimi. Insomma: attori superbi, che sembrano nati per quei ruoli: come riuscire a vedere Jeff Bridges fuori dai suoi panni di Hippie, o John Goodman da quelli di ex-soldato? Anche Buscemi e Turturro, nelle seppur brevi apparizioni, danno il loro meglio.

Ma il film rappresenta anche un'aperta critica alla guerra, distruttrice di uomini, e delle sue mutazioni sempre in peggio (indimenticabile il confronto di Walter tra la guerra del Vietnam e quella del Golfo, che non dimenticando il lato comico della faccenda, invita a riflettere).

Non un capolavoro, ma un film di ottimo livello, che va guardato con una certa predisposizione e con occhio critico.

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