Poiché nel mio database personale figuravano praticamente soltanto recensioni di dischi provenienti dal filone prog (tranne due) qualcuno cominciava seriamente a domandarsi se il sottoscritto ascoltasse qualcosa di solitamente non etichettato come progressive o se effettivamente si cibasse soltanto di prog.

Beh devo ammettere che effettivamente fino al marzo del 2010 (se non ricordo male) nel mio hard disk esterno figuravano praticamente soltanto discografie di gruppi progressive moderni, mentre soltanto durante i viaggi in pullman ascoltavo a muzzo varie canzoni genericamente rock o metal presenti sul mio mp3. Ma a partire da quel periodo mi è finalmente venuta la curiosità di approfondire gruppi anche di altri filoni musicali, cercando di non essere più tanto vincolato ad un unico genere. Ho cominciato prima con alcuni gruppi post-rock e sul finire dell'anno, oltre ad andarmi ad ascoltare i gruppi storici del progressive (cosa che non avevo ancora fatto), ho proseguito la mia scoperta ampliandola anche a quei gruppi, rock o non che siano, che si caratterizzano per uno stile piuttosto particolare, ricercato e vario. Sono infatti dell'idea che il rock diventi arte soltanto nel momento in cui viene contaminato da altri generi e reso libero da vincoli vari lasciando libero sfogo alla fantasia dei musicisti; se è puro dà come l'impressione di essere semplice musica da svago e poco più.

I Muse sono sicuramente uno di quei gruppi per i quali la parola "rock" non basta a definirli. Hanno sempre voluto contaminare le sonorità rock con elementi provenienti da altri generi, classica ed elettronica su tutti. "Absolution", terzo album della band britannica, è probabilmente quello che meglio riesce a combinare i vari elementi senza privilegiarne uno in particolare. Siamo quindi di fronte ad un lavoro che riesce a risultare perfettamente a metà strada fra creatività ed equilibrio fra gli elementi, e può tranquillamente essere considerato il migliore del gruppo. La band aveva già all'attivo due album: "Showbiz" era un ottimo esordio ma non godeva ancora di quell'eclettismo che li avrebbe poi resi celebri; "Origin Of Symmetry", considerato da molti un capolavoro, mostrava invece un grande passo avanti verso un sound più variegato... Ma "Absolution" è il passo avanti decisivo. La band è ormai completamente affermata e matura e in grado di fare scuola a tanti nomi di domani e Pino Scotto ha ragione quando definisce questo gruppo come "il futuro".

Facendo una panoramica sulle 14 tracce (fra cui un'intro e un interludio centrale) troviamo canzoni in grado di soddisfare diversi amanti del rock; dalle sonorità quasi indie di "The Small Print" e "Thoughts Of A Dying Atheist" al rock "spaziale" di "Sing For Absolution"; dalla quasi operistica "Blackout" al perfetto incontro fra pianoforte ed elettronica di brani come "Apocalypse Please" e "Butterflies & Hurricanes"; dal rock energico di "Time Is Running Out" (singolo di successo) e "Stockholm Syndrome" alla matrice dichiaratamente elettronica di "Endlessly" fino all'intensa ballata pianistica "Ruled By Secrecy". Buone anche la moderata "Falling Away With You" e la hard-rockeggiante "Hysteria" con lo splendido basso ad accompagnare.

E se dovessimo spendere qualche parola sui singoli musicisti? Che dire... Matthew Bellamy è un ottimo chitarrista, bravo anche con gli effetti e tutto sommato dotato di una propria originalità ma si rivela eccellente anche quando si posiziona davanti al pianoforte, nonché quando è alle prese con i sintetizzatori; ed è poi un signor cantante, dalla voce particolarissima, con quel suo cantato vibrato e sofferente, ottimo anche in falsetto. Christopher Wolstenholme colpisce con quel suo basso potente, spesso sintetizzato, e quasi sempre determinante nell'economia di un pezzo (si ascoltino "Time Is Running Out" e "Hysteria"). Dominic Howard alla batteria invece offre una prestazione non spettacolare come molti altri batteristi noti ma comunque concreta.

In ogni caso siamo di fronte ad un disco che è di grande importanza nel panorama alternative rock moderno, non solo perché è il disco che li fa uscire dall'anonimato e li consacra ad un pubblico molto più vasto ma anche perché riuscirà ad avere una certa influenza sul rock degli anni successivi. Immagino che siano molte le band che almeno una volta avranno citato i Muse fra le proprie influenze e magari li avranno pure citati esplicitamente in qualche brano; si vedano ad esempio i veterani Dream Theater che hanno praticamente plagiato "Stockholm Syndrome" nella loro "Never Enough".

In ogni caso l'ascolto dell'album è consigliato a chi sta cercando un disco che non si limiti al solito classico rock'n'roll ma che proponga un rock vario e mai annoiante. Se questo è ciò che cercate dovete averlo: potreste innamorarvene!

Carico i commenti...  con calma