1998, l'inizio di un'era. Un gruppo di tre ragazzi, appena emersi dalle fasi adolescenziali, sforna uno degli album più interessanti degli anni 90: un concentrato di rabbia post-grunge, dolcezza e carica che solo dei ventenni possono presentare. Nascono i Muse, un trio inglese che realizza, probabilmente, quello che molti produttori sognerebbero di mettere sul mercato: un disco d'esordio pressochè perfetto.
La data di pubblicazione è 1999, quando i ragazzi hanno 21 anni ma già da un pò sono al lavoro su alcuni pezzi or ora cari ai fan della primissima ora.
Già dall'inizio, si nota il carattere dell'album. Nessuna timidezza, è il pianoforte che accoglie il nostro orecchio quando partono le prime note di "Sunburn", con l'utilizzo "rock" di uno strumento del tutto classico, mescolato al suono graffiante della chitarra del Bellamy che s'erge su tutto durante l'assolo e con un basso ripetitivo e sprezzante, quasi a far emergere un delirio psicotico che si noterà chiaramente anche nel video di questo primo brano. Segue quella "Muscle Museum" (ossia, le due parole rispettivamente prima e dopo il termine "Muse" sul vocabolario inglese), che tanti fan considerano il brano più importante della carriera dei tre, abbinata ad un video di pregevole fattura ed a riferimenti verosimilmente autobiografici da parte del leader della band.
"Fillip" abbassa quindi un pò la tensione: è uno dei brani meno importanti musicalmente dell'album, a mio giudizio, assieme ad "Overdue" e "Sober", peraltro due brani finiti nel cestino della band. Il quarto brano del disco, è uno di quelli su cui vale la pena spendere due paroline. Indubbiamente "Falling Down" è una canzone di non semplice ascolto e personalmente non rientra neanche tra le mie preferite: è un brano particolare, pieno di accordi, con vaghe influenze di un certo Buckley, e presenta uno dei tratti che saranno poi caratterizzanti della carriera dei tre ragazzotti, ossia i fraseggi voce-chitarra del loro leader. A seguire troviamo la ottima "Cave" e quindi "Showbiz" probabilmente tra le migliori canzoni di tutta la carriera della band, fatta di poche frasi ripetute ossessivamente così come i movimenti chitarristici, fino all'esplosione del ritornello che termina in un assolo di assoluta potenza.
A seguire, due brani importanti e diversi tra loro: la dolce e smielata "Unintended", e la più dura "Uno", per la quale il Bellamy ha spesso usato distorsioni potentissime durante i live. Quindi "Escape", un altro brano decisamente significativo, dolce ma insieme "reattivo" con una distorsione che non tarda a farsi notare nonostante un inizio che poteva far presagire un bis di "Unintended". L'album è quindi chiuso con "Hate This & I'll Love You", direi ingiustamente terminata nel dimenticatoio della band, ma che invece è chiarissimo esempio di una significativa lucidità al momento del "chiudersi in studio e registrare".
In sunto, come solo pochi altri grandi hanno saputo fare, per i Muse è stata buona la prima. Un disco dolce, graffiante, con vaghi accenni malinconici ed una struttura di base di molte canzoni che rimanda al seguente Origin of Symmetry, il lavoro più maturo nonchè indubbio capolavoro della band.
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