Ancora scioccata dal pastrocchio dell’ultimo album, ho deciso di rivisitare i Muse degli esordi: quelli del loro primo LP, 'Showbiz'. E che esordi!

Sebbene l’influenza dei Radiohead caratterizzi fortemente tutto il disco (perché i Muse non erano, e ripeto erano, altro che i RH con un pizzico di hardrock, barocco e, se vogliamo, di britpop) Showbiz rimane inequivocabilmente un’ ”ottima copia”. Addirittura in un episodio, quello d’apertura, supera volentieri qualche canzone dei loro principali ispiratori. Quando Bellamy ha scritto “Sunburn”, la prima traccia, non doveva avere più di 21 anni e mi sorprende la maturità di questa canzone che oggi rimane la mia preferita del loro repertorio. Si apre con un fantastico arpeggio al pianoforte… poi quando attacca il basso sopraggiunge la pelle d’oca (and I’ ll feel guilty conscience grown), il ritornello ha anch’esso un suono potente e superbo… la canzone termina con un altro arpeggio, questa volta però molto più vertiginoso a chiudere una canzone ambiziosissima.

L’originalità non peggiora affatto con la famosissima “Muscle Museum” dove troviamo di tutto: introduzione del basso memorabile, motivo di chitarra dal suono latino, ritornello apocalittico e finale con un acuto pazzesco di Bellamy che echeggia una chitarra elettrica. Muscle e museum sono le parole che nel dizionario inglese (non so dove l’ho letto) rispettivamente precedono e succedono a Muse, da qui il titolo. “Fillip” si apre con una sorta di rock energico, malato e irrequieto per poi sfociare in un interludio dal falsetto piagnucolante alla “Paranoid Android”. Dopo quest’ottimo trittico d’inizio, la qualità della musica comincia a degradare.
Degne di nota: “Falling Down”, molto Buckley; la title track, ossessiva, parte in sordina e culmina in un impressionante acuto del cantante nel cui cimentarsi, esagero, non so se una mezzosoprano ci sarebbe riuscita; “Unintended”, ballata triste, lugubre, dolce, sentita e molto toccante; “Uno” nella quale assistiamo all’ormai ricorrente esplosione di chitarra nel rit. e la traccia di chiusura, una notevole love song.

I Muse erano, e ripeto erano, una band talentuosa, perché, nonostante le numerose ispirazioni (se si parla dei primi Muse è impossibile non chiamare in causa Radiohead e Buckley) ricevute, erano riusciti a connubiare influenze diverse in una musica ricercata e, tutto sommato, non priva di estro e originalità. È chiaro, ad ogni modo, che stiano cercando di sorprenderci con nuove svolte di carriera, come d’altronde hanno sempre fatto i Radiohead, ma non credo riusciranno mai ad eguagliare la bellezza delle loro prime due opere.

5 stelle Showbiz non se le merita, ciò è dovuto alla presenza di troppe canzoni per così dire riempitive, in ogni caso un ritorno alle origini per il prossimo album di certo non farebbe loro male.

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