I Muse lottano da qualche anno con il concetto di "album", ma alla fine tornano sempre a pubblicare musica nel formato più classico e comune.
Forse perché dare forma, sostanza e coerenza ad una serie di canzoni è un'attività che li affascina troppo per abbandonarne i concetti di fondo. E' così che quella che doveva essere una serie di singoli slegati da loro è diventata questo "Simulation Theory", ottavo album in studio della band capitanata da Matt Bellamy; e, paradossalmente, uno dei lavori più riusciti e coesi del trio britannico.
L'idea di base è in antitesi rispetto al precedente album "Drones": innanzitutto liricamente, in quanto stavolta, invece di muovere una critica contro il concetto di modernità, lo si abbraccia interamente, utilizzandolo come motore del nuovo lavoro. E di pari passo, quindi, si evolve anche il sound: i tre abbandonano il ritorno alle chitarre e al sound rock della precedente prova per accodarsi a sonorità più fresche e contemporanee, con pezzi ideati tramite Pro-Tools e costruiti attorno a suoni più sintetici e meno chitarristici.
Per fare questo, scelgono una schiera di produttori impressionante: il sodale Rich Costey (artefice del sound di due album ottimi quali "Black Holes And Revelations" ed "Absolution"), Mike Elizondo, Shellback e addirittura Timbaland. Tutti professionisti più o meno accostabili alla migliore (e peggiore) scena pop degli ultimi dieci anni. Il risultato è, curiosamente, ben compatto e coerente.
I Muse attingono a piene mani dall'immaginario anni '80 (mare nel quale sguazzano in maniera prevedibilmente agevole, d'altronde affidare la copertina del disco al Kyle Lambert di Stranger Things la dice tutta) e confezionano un disco assolutamente convincente, che spazia tra varie atmosfere trovando quasi sempre una soluzione fresca e dinamica.
"Algorithm" apre fondendo suoni da videogame vintage e piano che più classico non si può, richiamando alla mente episodi come "Apocalypse Please" e "Supremacy" e settando le coordinate dell'intero album; "The Dark Side" e soprattutto "Pressure" si avvicinano di più al tipico sound à la Muse, specialmente la seconda (che non a caso è una sorta di reazione alle pressioni dei fan di vecchia data affinché la band produca pezzi più vicini agli esordi). "Propaganda" pesca a piene mani da Prince ed è il pezzo curato da Timbaland, che opera in maniera discreta e non invadente, donando al brano un incedere secco e deciso che calza a pennello; "Something Human" è asciutta e vagamente folk, "Break It To Me" arrangia un tipico riff alla Rage Against The Machine in chiave RnB, "Get Up And Fight" alterna ad una strofa arricchita da Tove Lo ai cori un inciso esplosivo in pieno stile Muse. "Blockades" nasce come una sorta di aggiornamento della vecchia "New Born", ed anticipa la chiusura inevitabilmente epica di "The Void" (in mezzo l'arcinoto e discusso singolo "Dig Down").
Un buon disco questo "Simulation Theory", uno dei migliori dei Muse. Sarà sicuramente un album discusso, che spaccherà definitivamente la fanbase della popolarissima band britannica.
Vedremo se questa svolta darà ragione o meno a Bellamy e compagni.
Brano migliore: Blockades
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