The 2nd Law è l'album più atteso dell'anno, non tanto perchè i Muse ormai si sono guadagnati il posto tra le band più significative dello scorso decennio ma soprattutto per la temuta "svolta artistica" verso sonorità davvero estranee alla band.
La buona notizia è che i fan non avranno da dividersi, perchè - per fortuna, aggiungerei - le sperimentazioni tanto annunciate da Matt & Co. si esauriscono nei due singoli dati in pasto agli affezionati prima dell'uscita del disco: l'elettropop facile e molto radio-friendly di Madness e in seguito Unsustainable, pezzo che ruba molto (e praticamente tutto) alla dubstep e a Skrillex in particolare, del quale i Muse avevano ammesso inizialmente (meno male che si sbagliavano) una notevole influenza .
I numerosi che si erano sentiti male all'ascolto di un simile pezzo probabilmente si riprenderanno subito con questo nuovo The 2nd Law: Supremacy, che apre il disco, è la tipica canzone alla Muse, l'incedere epico c'è, gli arrangiamenti di archi e fiati pure, e per concludere finale con falsettone tiratissimo di Bellamy.
Bisogna dire che con i due dischi precedenti, Black Holes & Revelations e The Resistance, la band aveva tirato fuori ottime idee ma esse furono poste sul medesimo piatto in modo piuttosto disordinato, il primo risultava alla lunga indigesto mentre nel secondo parevano davvero esagerati i richiami alla classica e ai barocchismi dei Queen: con The 2nd Law fanno finalmente mente locale, proponendo un lavoro coerente e con pochi intoppi, e più che rivoluzionario il loro sesto disco sembra l'episodio conclusivo di un percorso di sperimentazione durato un decennio.
I Muse hanno ormai raggiunto una perfezione ambivalente: da un lato quella compositiva, in quanto le canzoni scritte da Matthew Bellamy riescono sempre a soprendere senza mai essere scontate, e dall'altro quella produttiva, poichè da questo punto di vista The 2nd Law propone arrangiamenti e suoni che di criticabile non hanno davvero nulla.
La parte centrale dell'album è quella più interessante: in Panic Station, ritmo marziale accompagnato da chitarre funky, Bellamy per una volta non si prende troppo sul serio e centra l'episodio più apprezzabile del disco, mentre in Survival (scelta azzardata per aprire le Olimpiadi di Londra) l'epicità musiana è ai massivi livelli; la cosmicità di Follow Me rimanda ai tempi di Absolution e infine sorprende la vellutata linea vocale costruita sopra i toni malinconici di Animals.
Nota di merito per Chris, che oltre a proporre linee di basso avvolgenti e corpose che guardano molto agli U2, scrive e canta senza infamia nè lode in Save Me e Liquid State, che risultano piacevoli più che altro perchè la voce istrionica e i falsettoni di Matt alla lunga risultano pesanti.
Nel finale, cercando di omaggiare la Seconda Legge Della Termodinamica (e qui ci scappa una mezza risata), i Muse si ripresentano un po' pasticcioni omaggiando inutilmente la dubstep e l'elettronica con Unsustainable e Isolated System, suite strumentale che meriterebbe meglio un posto tra le b-sides da concedere allo zoccolo duro dei fan.
Un disco non rivoluzionario, non ancora perfetto, ma sicuramente godibilissimo, con il quale i Muse semplicemente si divertono a fare i Muse, confermandosi i pionieri del rock degli anni '00.
Voto: 8
Tracce consigliate: Madness, Panic Station, Animals
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