No, stavolta non c'è nessun duce sulla copertina, ma solo un dipinto in primo piano dal gusto "tribale", posto su un background verso il tramonto. I temi, però, sono forse ancora più aspri e maturi del loro lavoro "principe", uno tra i capolavori del Progressive Italiano, relegato inizialmente nell'oblio a causa di una cover che, all'epoca, destò notevole scalpore.

Stiamo parlando dei Museo Rosenbach, che nel 1973 diedero alle stampe un album capace di resistere alla prova del tempo nonostante il boicottaggio da parte della RAI: Zarathustra (1973, Dischi Ricordi) toccò concetti che all'epoca erano difficili da vedere in ambito musicale, tra i quali il Superuomo di Nietzsche e il rapporto tra l'uomo e la natura. Un album tematicamente difficile, ma musicalmente affascinante, suonato con perizia e grande ispirazione. Ma la presenza di Mussolini sulla copertina, purtroppo per il Museo, si rivelò un'arma letale: di fatto, il disco venne poco pubblicizzato proprio a causa di quella cover e il complesso si sciolse nel giro di pochi anni; l'avvento di internet fece però riemergere tale perla, spingendo la band a riprendere il proprio operato all'alba del nuovo millennio. Nel 2000, infatti, la band pubblicò Exit (2000, Carisch), con i reduci storici Alberto Moreno al basso e Giancarlo Golzi alla batteria accompagnati da nuovi musicisti, e soprattutto, da una nuova voce.

Il vocalist originario della band, Stefano Galifi (soprannominato Lupo), aveva infatti intrapreso nuove strade, pubblicando nel 2010 un album in stile Zarathustra con Il Tempio delle Clessidre, che era di fatto anche il nome di una delle sotto tracce della suite dello storico album. Ma proprio quell'anno Golzi e Moreno richiamano il vecchio compagno per tornare a suonare un album in perfetto stile Zarathustra: "Lupo" accetta, e il progetto "Museo" torna a pieno regime. Sebbene in molti possono pensare ad un'operazione meramente nostalgica, le intenzioni dei tre membri della formazione originale si riveleranno ben diverse: riprendere il cammino bruscamente interrotto dalla sfortuna e dalla censura. Con nuovi componenti ad affiancare quelli storici, il Museo pubblica nel 2012 una "riedizione" di Zarathustra, seguita da un album formato sia da inediti, sia da pezzi già composti in precedenza, riproposti con Galifi alla voce.

Barbarica (2013, Immaginifica) riprende gli stilemi musicali di Zarathustra in maniera forse meno ispirata ed organica, ma il risultato è comunque di ottima fattura: l'album è ben suonato, e i testi, seppur in parte diano l'impressione di impregnarsi di una retorica forse eccessiva, trasudano poeticità da tutti i pori, con delle tematiche mai banali. Il lavoro, seppur presenti 5 pezzi separati musicalmente fra loro, sotto il punto di vista strutturale è chiaramente un concept, dove vengono esposte agli ascoltatori tematiche attuali e d'impatto: il difficile rapporto dell'uomo con la natura, il suo istinto barbarico che distrugge tutto ciò che ha costruito e che lo fa regredire allo stato primordiale, una nebbia distruttiva dove si intravede uno squarcio di luce, un barlume di speranza, che potrà risplendere nei cieli soltanto con il cambiamento, con il mutamento di una coscienza collettiva ormai infettata dall'odio, dall'invidia e dalla distruzione. Nella suite iniziale, Il respiro del pianeta, l'uomo cerca questo barlume di speranza nella natura, che nonostante sia stata soffocata nel corso dei secoli dal progresso, risponde presente con il suo amore e con il suo calore, indicandoci la strada verso un volto incontaminato del pianeta in cui rifugiarsi. Gli altri brani presentano scenari decisamente più crudi e pessimisti, esposizione sintomatica di una crisi, secondo il Museo, anche spirituale.

Musicalmente Zarathustra forse era più ispirato e decisamente più in linea con la corrente musicale dell'epoca, ma Barbarica risulta comunque un lavoro eccellente, forse troppo stucchevole ma tecnicamente ben eseguito e tematicamente molto ispirato.

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