Con una discografia che supera le 200 pubblicazioni e non accenna a cedere nella sua espansione anche a ormai 24 anni dalla prematura scomparsa di Bryn Jones, grazie a pubblicazioni postume a valanga tra materiale non finito, scarti, remix, e chi più ne ha ne metta, il progetto Muslimgauze rischia di venire quasi soffocato più per la fama di una discografia tra le più imponenti di sempre, oppure si finisce spesso impantanati su disquisizioni sulle sue posizioni politiche sul medio oriente.

Si perde così di vista il fulcro, l' essenza di quest' artista: la musica, una delle più originali ed influenti di tutti gli anni 80' e 90', grossi nomi dell' elettronica degli unltimi anni come Shackleton Andy Stott, Demdike Stare e molti altri devono molto all' artista di Manchester, piazzato oggi in un buon dj set un suo qualunque brano di quegli anni si integrerebbe perfettamente con la materia sonora attuale.

Muslimgauze attraversò 2 decadi di musica elettronica vampirizzando qualunque stile provenisse dall' underground elettronico, una capacità unica di catalizzare lo zeitgeist di un certo suono e renderlo suo, immergendolo fino all' orlo in quelle tradizioni musicali arabe che mai abbandonò, nella monumentale discografia vi sono album techno, hip hop, post-industrial, tribalismi, dub, noise, ambient, un compulsivo ritmo di produzione di materiale proprio di molti esponenti della scena industrial portato alle estreme conseguenze, un bisogno quasi fisico di registrare musica, vivere in una simbiosi assoluta con essa, così gli elementi politicizzati pro Palestina che pervadono l' estetica di Muslimgauze prendono la forma di una causa, di un' assunto filosofico marchiato a fuoco nella carne fremente stessa di quel suono.

"Mullah Said" si colloca tranquillamente tra i migliori lasciti di Muslimgauze, straborda passione vitale ed esotismo, esala fragranze mistiche e sacrali come pregiate resine Omanite, suadente, sensuale e minaccioso pare quasi materializzarsi davanti all' ascoltatore come miraggi lontani e sfocati.

I beat technoidi scorrono lenti e lisci, come attutiti da un morbido velluto dub, nella title track il canto di un muezzin viene circondato da diradate percussioni etniche, inquiete frasi melodiche circolari e reiterazioni ritmiche assai profonde, stesso discorso per le 2 parti di "Every Grain Of Palestinian Sand", prese d' assalto da ritmi ansiogeni sempre più cupi ed il continuo sovrapporsi di samples vocali e percussioni tribali, in "Muslims Die India", sempre divisa in 2 parti si arriva al compimento di questa visione sospesa, meditativa e tremante, eppure magnificamente vivida e calda del suono, beat rallentati e penetranti, sciami percussivi irregolari, sinistre incursioni di registrazioni di voci in continuo loop, l' atmosfera è torrida e fascinosa.

Bisogna lasciarsi risucchiare dentro da un disco come questo, farsi trascinare dalle calde tempeste di sabbia al suo interno, guardare con occhi diversi i suoi accecanti miraggi.

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