Domenica 24 luglio 2016, «Muso 2016 – Live Music & Comics» chiude i battenti, è la terza ed ultima serata.
Ma la commozione e la tristezza sono bandite, perché questa è la scatenatissima notte del rock’n’roll e ad Oriolo arriva The Bone Machine. E se ieri la botta è stata forte, oggi rischio di finire al tappeto per non rialzarmi più.
Io ci sono, oggi non posso proprio mancare; e c’è la terza morosa della terza serata, nemmeno lei vuole mancare l'appuntamento.
La partenza è fissata per le otto, quando sulla zona si abbatte un temporale di sabbia di proporzioni bibliche ma neppure Giove Pluvio può fermare il corso della serata: alle nove e mezza salirà sul palco Il Branco e nemmeno una goccia pioverà dal cielo fin quando si spengerà l’eco dell’ultima nota suonata da The Cyborgs.
Male che vada, ne patirà le conseguenze la mia auto ma un po’ d'olio di gomiti nel fine settimana la rimetterà a nuovo: a proposito, non ho una Ford Cortina, le mie morose non sono Janie Jones né io sono il loro amante, ma un po' di romanzo confido che me lo perdonerete.
E considerato che sono in vena di confessioni, questa sera non sono stato io ad invitare la morosa ad Oriolo ma viceversa, per cui mi accompagno ad una distinta tipina che tanti e tanti anni fa ha perso la testa per il punk rock, che mi telefona lo scorso mese, cooptandomi per l'evento e non ammettendo repliche. Per me, ne sono onorato.
Comunque sia, balzo nella mia Cortina alle otto, dopo cinque minuti sono sotto casa della tipa che è già in strada e senza perder tempo si fionda dentro e via, sfrecciamo per le terza e conclusiva serata verso Oriolo.
Stasera parcheggio dove ho parcheggiato ieri, al posto del fiammante maggiolino sta una panda d'anteguerra che non suscita pensieri criminogeni, e sono talmente invasato che affronto la terrificante salitina con il piglio di un ventenne che corre al suo primo appuntamento galante: ore venti e minuti trentadue, a tempo di record varchiamo i cancelli del Muso. All'inizio dei concerti manca oltre un'ora e mezza, la strumentazione sul palco è coperta dai teloni ed il clima è desolato.
Nient'altro da fare che una capatina al ristorantino: per l'occasione, nessuno dei due è venuto cenato, perché DeMa è stato ribaltato a sufficienza ieri ed a lui vanno saluti e stima. Siamo solo noi, il servizio è tutto per noi, cinghiale ed abbacchio vanno e vengono che è un piacere, l'acqua gassata e la birretta pure. Con sommo piacere, comunque, le nove e venti le abbiamo fatte, tempo di levare le tende dal ristorantino, dopo aver pagato il conto e lasciato una lauta mancia.
Di nuovo in marcia, la successiva tappa è lo stand dei gadget assortiti. I dischi di The Bone Machine ce li abbiamo già tutti, quindi io mi compro la maglietta che raffigura la copertina di «La Vita Finisce, La Strada No», taglia XXL come ovvio, a lei regalo quella di «Giù Nel Mio Inferno», taglia M che Dio la stramaledica, e tra una cosa e l'altra sono volati via quaranta euri; a saperlo mi andavo a vedere il concerto del boss e poi marcavo visita per questa tre giorni, mi sa che avrei risparmiato. Che poi si parla e straparla di parità dei sessi, ma mi fosse capitato una volta di uscire con un essere femminile e che questa accenni a pagare quel che le compete da pagare, mai una volta; sarà che si vede lontano un chilometro che mi escono i soldi dalle orecchie. E con questo chiudo il discorso.
Avvicinandoci al palco, indossiamo le magliette nuove e siamo davvero due grandissimi fighi, l'evento nell'evento.
Siamo comunque in prima fila, anche perché ci siamo solo noi, nella piazzetta. Di lì a pochi minuti, arrivano quelli dello staff a togliere i teloni ed i primi musicisti salgono sul palco per una velocissima prova, ché i tempi sono contingentati.
Si sentono le prime note, si vedono le prime facce: saremo una cinquantina, grasso che cola. Comunque si parte.
Tocca a Il Branco, punk d'autore da Terni «... i testi hanno atmosfere metropolitane e post apocalittiche, incrociandosi spesso a visioni d’amore dantesco e irrisolto. Le melodie, tipicamente d’oltremanica, si appoggiano ad un mood cantautorale con forti vene punk ...» e forse sono io che sono invecchiato precocemente e male, ma fino a ieri ero disposto a mettere la mano sul fuoco che il punk d’autore fosse suonato dai Wire. Il Branco suona un innocuo poppettino con vaghissimi richiami ai Subsonica. Non lasciano tracce, se non quella labile di una brutta versione di «Un Giudice» di Fabrizio De Andrè, ed il momento più galvanizzante è quando un bimbetto intimidito smarrisce la mamma e loro lo issano sul palco finchè il papà non lo viene a recuperare, e questo è punk, ne conveniamo. Io e la morosa ce ne restiamo seduti per tutta la durata del concerto sotto al palco, in attesa che finisca presto, sempre indossando le fighissime magliettine di The Bone Machine. E come tutte le cose, anche questo concerto finisce e non ci è piaciuto, a nessuno dei due.
Pausa. Non ci muoviamo, non andiamo al baretto e manteniamo la posizione strategica per un quarto d'ora, perché intanto la piazzetta si è fatta piena e saremo in duecento, tutti lì per quello.
Ed eccoliiiii, The Bone Machine! Si è capito che siamo qui per loro, noi tutti?
Perchè sì, siamo qui per The Bone Machine, l’espressione più autentica ed eccitante del rock’n’roll in Italia, da anni a questa parte. I loro suoni sono il rock’n’roll ed il rockabilly degli anni Cinquanta, quelli che non è azzardato definire proto-punk e che trovano una splendida sintesi nella raccolta «Rockin’ Bones» licenziata anni orsono dalla sempre benemerita Rhino Records. L’ispirazione viene dai Cramps, «Garbageman» ed «I'm A Teenage Warewolf» sono la loro laicissima bibbia, i testi delle canzoni sono in italiano e raccontano di becchini, bare da riempire, scheletri e zombie, surf e boogie paludati. The Bone Machine sono in tre: Big Daddy Rott al contrabbasso, Black Macigno alla batteria e Jack Cortese alla voce e chitarra. Indossano maschere da luchadores e vanno a mille all'ora, snocciolando «Rock'n'Roll Zombie», «Febbre D'Amore», «Voglio Solo Te», «Siamo La Banda Che Suona Le Tue Ossa», «Blue Moon Baby» e questa la facevano anche i Cramps, l'inno «Jimmy Scavafosse», «Una Cassa Da Morto Foderata Di Rosso», «Sono Un Cane» e tanto altro. Ma è il delirio, sopra e sotto il palco; per me, erano anni che non pogavo, ballavo e ridevo tanto ad un concerto. Una canzone di The Bone Machine dice «Forse Sei Già Morto» e non lo sai, ma adesso no di certo, questa botta terrificante di rock'n'roll e di adrenalina stanno lì a certificare che ad Oriolo siamo vivi, vegeti e scatenatissimi. Bellissimo. The Bone Machine suona per quaranta minuti e poi il bis e giù dal palco, al baretto a bere qualcosa con il pubblico, offriamo noi con immenso gusto e piacere. Ed è li che io e la morosa consideriamo che per nulla al mondo questo momento lo avremmo barattato con la presenza al concerto del boss al Circo Massimo, costi quel che costi.
Finisce qui, il nostro Muso, e finisce nel migliore dei modi possibili.
Anche se verso la mezzanotte salgono sul palco The Cyborgs, il gruppo di punta, quelli che hanno aperto il concerto romano di Springsteen – ancora lui, sempre lui – nel 2013. La loro proposta segue le orme percorse alle origini da White Stripes e Kills, con un marcato tocco di elettronica ed una presenza scenica che suscitano curiosità. I loro inizi erano sporchi e grezzi e li preferivo all’oggi; ma che siano qui stasera è una manna dal cielo, perché sono bravi davvero.
Ma il Muso, per me e la morosa, è già finito e The Cyborgs ce li godiamo seduti ad un tavolo del ristorantino, ai margini della piazzetta. Indossiamo ancora le nostre magliettine di The Bone Machine e ci sentiamo due grandissimi fighi.
Grazie Musi, al prossimo anno!
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