Prima l'attesa era focalizzata sulle ristampe di "Isn't Anything" e "Loveless", poi, a fronte delle notizie sempre sporadiche ma anche sempre più promettenti, sull'uscita del nuovo disco, vera e propria chimera per tanti appassionati inguaribili della saga My Bloody Valentine. Purtroppo aver lasciato passare tutti questi anni significa aver lasciato a chi aspettava lo spazio per costruirsi nella testa il proprio disco dei sogni/disco definitivo, che avrebbe spazzato via il resto della musica a suon di innovazioni immaginabili, una specie di rivelazione musicale covata da un mago il cui mito è cresciuto nel tempo... dopo essersi stoppato sul culmine, congelando il giudizio e i cuori a tempo indeterminato.

Purtroppo, la brutta notizia è che non è ovviamente l'album definitivo (quello esiste solo nei nostri personalissimi sogni mattutini) e non corrisponde alle aspettative di nessuno, in più non ha nemmeno quell'aura estatica che permeava tutto "Loveless" elevandolo a una dimensione superiore. La bella notizia è che è comunque un ottimo album, più difficile dei precedenti, che richiede un tipo di attenzione diversa, ma dal cui richiamo non si riesce a sfuggire - se non altro perché lascia molti, troppi dubbi, una strana insoddisfazione di fondo, perché è ineffabile e sfuggente come non mai e tutti i tentativi di catturarne e estrarne l'anima, il cuore, falliscono... a volte ci si riesce ad avvicinare... si intuisce qualcosa... l'esasperazione in crescendo di Only Tomorrow, le picchiate di Who Sees You... Altre volte verrebbe solo da scuotere la testa, come di fronte allo strazio infinito di Is This And Yes (ma non dimentichiamoci della Touched che infestava Loveless come una scoria sonica fastidiosa e ingombrante).

L'impressione complessiva è che sia tutto voluto e studiato a tavolino, l'imprendibilità pensata come scudo dallo scopo preciso, cioè nascondere la chiave di accesso all'ascoltatore distratto. Perché questo album richiede attenzione, e questo è probabilmente il suo merito maggiore. Mettiamo anche che non sia come ci piace credere, che sia solo un fiasco arrangiato alla rinfusa da Shields pescando da vecchi scarti: non cambierebbe di una virgola il fatto che stimola al riascolto. Già solo per poter arrivare a questa conclusione, gli ascolti usa e getta a cui internet ci ha abituati non bastano. Infatti i primi ascolti lasciano completamente indifferenti ma non schifati - è una reazione programmata. Dove in "Loveless" era il rumore a soffocare la bellezza, qui si passa a uno stadio successivo, più psicologico e perverso, alla freddezza apparente per nascondere la bellezza. Ci sono voluti vent'anni per digerire "Loveless" perché era platealmente inaudito...  ci vorranno forse altrettanti anni per digerire questo perché è l'esatto opposto; nell'epoca in cui tutti cercano la sensazione i My Bloody Valentine hanno deciso di percorrere la strada opposta, contrari come sempre alle pressioni del sentire comune e passeggero. E noi dovremmo solo ringraziarli per questo regalo che ci permette di allontanare per un po' la vacuità del rumore bianco di cui siamo infestati tutti i giorni, su internet, alla radio, nella nostra testa. Ci stanno dicendo che è ora di tornare a concentrarsi se vogliamo che le cose prendano una piega migliore

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