Che cosa ci si poteva aspettare dopo il piagnucoloso, ammosciante "For Lies I Sire"? La deriva artistica era ormai evidente, e quelle che all'inizio si potevano chiamare coerenza e fedeltà verso il proprio pubblico e la propria musica si sono in breve trasformate in un piattume all'insegna del riciclaggio, dell'autoscimmiottamento e dei luoghi comuni. "Evinta" è la continuazione e conclusione ideale di questo discorso: giunti ad un punto di stallo, i My Dying Bride decidono di celebrare in tutto sfarzo la propria carriera ventennale (nonché la propria penuria di idee) riproponendo alcuni loro grandi classici in chiave sinfonico-neoclassica; scelta prevedibile quanto il risultato stesso.
"Evinta" è un'opera colossale, ridondante, autocompiaciuta, ambiziosa, troppo ambiziosa. È una brodaglia gotica che si protrae mestamente nei suoi 87 minuti (per chi invece deciderà di acquistare la deluxe edition con incluso un terzo cd, oltre due ore) di interminabili suite lacrimevoli, stille di sangue, cimiteri nebbiosi, amanti perduti, cattedrali tenebrose, inglese shakespeariano, overdose da saccarina e lamette. E poco importa dell'eleganza e della raffinatezza che i brani trasudano; ancor meno importa se questi sono nobilitati dai più celebri motif della Sposa, che non sto neanche ad elencare. La sostanza, in "Evinta", manca del tutto. L'ispirazione si risolve in pura vanità sonora.
D'altra parte, neppure ci si deve allarmare più di tanto: ogni artista nasce, cresce, matura, vive il suo percorso con alti e bassi, infine si spegne e "muore". È fisiologico, è normale, e come tale bisogna accettarlo. A questo punto c'è solo da sperare che la Sposa, ormai più morta che moribonda, si astenga in futuro dall'esibire pure il suo avvenente rigor mortis.
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