Come ideale basilare della mesta scena doom metal anglosassone, permea il concetto di ispirarsi, se non del tutto polarizzarsi, sulle opere dei più grandi letterati inglesi del Romanticismo.
Sotto questo punto di vista i My dying bride non si prendono il lusso di andare controcorrente, ma anzi forgiano il loro capolavoro sulle fondamenta dell’opera di John Milton, Paradise Lost.

Ed è proprio in mezzo a questo sistema incrociato tra opera letteraria e musicale che prenda vita, complessivamente, questo disco.
La malinconia, la morte, la fede, l’amore, l’angoscia, gli scenari lugubri, il dolore.
Questi e altri ancora i temi di questa sublime corrente letteraria e di questo concept album.
Infatti con “The angel and the dark river” il combo inglese si scrolla di dosso l’etichetta di “death metal band” e si avvia verso sonorità e ambientazioni di depressione e tristezza.

Un cambio di rotta straordinario comunque, che ha avuto molti riscontri positivi tra gli ammiratori della band.
Il disco è ricoperto da un’atmosfera cupa e racchiude in se stesso tutte le attenuanti per un sound particolare, che fa dei riff lenti e profondi, caratteristici del doom, una sua arma vincente. Tutti i brani riescono a trasmettere quel senso di angoscia e costrizione, aiutati anche dalle perfette strumentazioni che il gruppo usa in maniera magistrale.
Le chitarre acustiche tratteggiano pienamente il panorama inquieto. Il violino fa il Caronte della situazione e ci trasporta da una sponda all’altra delle inquietanti melodie, aiutato anche dal suono depresso dell’organo e dagli arpeggi di piano.
La voce di Stainthorpe trascina il tutto e interpreta a dovere i contenuti de testi, dando un tocco in più alle cadenzate ritmiche con una voce agonizzante e tetra.
L’opener del disco ,“The Cry of mankind”, è un programma a se, capace di far capire a chi ascolta in che dimensione riflessiva si sta per metter piede. Ma non si possono citare singole canzoni, perché bisogna prestare ascolto a tutto il contenuto di questa opera d’arte.
E non solo al componimento, ma anche ai testi, ispirati al già citato “paradiso miltoniano”, in grado di entrare dentro l’anima ogni individuo.

È un disco articolato che si impone alla mente e all’orecchio dell’ascoltatore, ma che non sarà mai messo in relazione con la parola “noia”. Questo soprattutto grazie alle sontuose prestazioni dei musicisti che, attraverso arrangiamenti davvero belli, aprono la strada verso nuovi orizzonti musicali a chiunque voglia provare ad ascoltare questa nuova incarnazione del doom.

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