Secondo album della band di Louisville, Kentucky. Prima formazione. 2001.
Mi lascio sopraffare dalla calma piatta dell’estate. La casa vuota, i muri bollenti e le tapparelle socchiuse per cercare di mantenere il termometro sotto i venticinque gradi.
Cerco di nascondermi. Filtra comunque un pulviscolo di luce che annebbia la mia vista e mi sprofonda in un’altra dimensione.
Ancora qualche errore tecnico qua e là, non si capisce se veramente voluto o dovuto solamente alla rapidità delle registrazioni in presa diretta. Ma si riesce già ad intuire il gigantesco talento del frontman Jim James.
Un lavoro che ad oggi risulta da un lato un po’ datato, dall’altro invece anticipa tante piccole mode venute fuori solo una decina d’anni dopo, vedi tutta quella miriade di cantautori folk americani, chitarrina e voce, né carne né pesce.
Appena accennate le tastiere del nuovo arrivato Danny Cash.
Alcuni brani sono solo accennati, come “If It Smashes Down”, voce e banjo, bellissima. Probabilmente portavano con sé un qualche significato che per l’autore, poco più che vent’enne, era molto importante. Impossibili dunque da eliminare dalla tracklist.
Tutto il disco comunque sembra ancora alla ricerca di una vera band che supporti la creatività e sensibilità di James. Alla ricerca del proprio mojo insomma.
Ci sono anche canzoni più heavy, senza una precisa identità però. Come “Strangulation!”, che potrebbe facilmente appartenere a qualche lavoro del Neil Young più oscuro, l’influenza si sente ancora tanto.
Un album molto lungo (settantaquattro minuti, quasi un doppio), forse troppo lungo.
Poi però ad un certo punto accade qualcosa di strano, una perla di rara bellezza, “Hopefully”, e tutto diventa più nitido.
Adesso ho capito. Spero che tutto vada bene ecco… e se così non sarà, cercherò di tener duro fino alla fine.
Carico i commenti... con calma