Recensire una band "al contrario" non è mai facile, oramai si è troppo influenzati da ciò che è successo dopo, che quanto viene prima appare svuotato da tutte quelle caratteristiche fondamentali che ti hanno portato ad amarla.
E' la crisalide che faticosamente riuscirà a rompere l'involucro che la protegge e la separa dal mondo, per fare finalmente i primi passi verso il futuro.
In "The Tennessee Fire" non si sentono tutte le venature psichedeliche e le sonorità elaborate che ad oggi la band sa tessere con grande maestria e la voce di James non appare ancora solida, anche se il suo indiscusso talento riesce a tratti ad uscire dalle canzoni (ascolta la dolcissima "I Will Be There When You Die", accompagnato soltanto da una flebile chitarra acustica).
Una personalità molto forte quella di Jim James, una leadership incontrastata, l'unica cosa di cui aveva bisogno la band nel lontano 1998, già Winter Death Club, dei quali facevano parte Quaid, Blankenship e Glenn.
Insomma, arriva lui e la musica cambia (in senso letterale!). In un anno riescono a mettere in piedi questo disco, che uscirà nel Maggio 1999 per Daria Records, e darsi un'aria credibile.
Un album molto pulito e chiaro, con molte chitarre acustiche ed elettriche (doveva ancora entrare il mago delle tastiere Bo Koster); si sente un mandolino in "If All Else Fails".
E ci sono le trame di voci che fin da questo debutto hanno una loro dimensione e sottolineano l'andamento dei pezzi; armonizzazioni caratteristiche che si sentono fin dalle prime due canzoni Heartbreakin' Man e la stupenda They Ran, con voce in falsetto a colorare quella portante.
La qualità delle registrazioni non è sopraffina, forse per ricercare un sound più vicino alla dimensione live e quella delle prove casalinghe, o più semplicemente per la mancanza di soldi. Fatto sta che le melodie delle canzoni arrivano prima, aiutate da questa batteria così secca ("War Begun" e "Picture of You" ne sono il perfetto esempio) e gli accordi di chitarra, che non si nascondono dietro a suoni sintetici di effetti e tastiere. Si sentono addirittura alcuni errori qua e là, ma va bene così.
Solo l'"Untitled Track" finale sembra dar spazio ad un'embrionale sperimentazione, quasi un monito per i futuri fans.
Anche i testi riflettono l'andamento della musica: sono molto corti (addirittura capita di vederli dispiegati in sole due frasi!) e parlano di cose semplici, quelle che un ragazzo di vent'anni del Kentucky può raccontarci. Gli amori perduti, le paure che lo attanagliano, come il timore di non essere all'altezza per la vita e di non riuscire a scappare da una regione certamente non semplice per un aspirante musicista.
"I'd move on, but I know you'll need some day/ I'd roll on, but I know you'll need some day".
I quattro di Louisville non si risparmiano, sedici canzoni per quasi un'ora di musica, zero fronzoli e tanta, tanta voglia di mostrarsi per quello che sono.
Ci sarà tempo per la ricerca del suono e dei fini arrangiamenti, bisogna fare la gavetta prima.
Io so perché amo i My Morning Jacket, ma "The Tennessee Fire" mi ha fatto capire che non ho bisogno di tutti gli orpelli di cui sono portatori oggi per amarli, mi bastano le loro canzoni.
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