È dura il venerdì’ sera dopo il lavoro, quando al bancone del bar cui si fa riferimento, il maschio medio millanta di trombarsi l’intero universo, urla sputazzando gocce di Campari e Prosecco che a casa comanda lui e che i figli adorano il papà. Quando il suddetto esemplare da National Geographic poi ascolta Metal “estremo”, allora ecco servito il gruppo più duro, puro e cazzuto di tutto il sottosuolo, attitudine che fa sembrare Astaroth il San Girolamo di turno, sangue (rigorosamente vero) a fiumi e sprezzo del denaro nonché di ogni forma di successo mainstream.
Vendersi al music business?
Mai!
Il vero machomantruzzoblacksatanicfrozenthundergoatblaze piuttosto sacrificherebbe sua madre (meglio ancora l’adorata moglie) ad Arimane e Barbara D’Urso messi assieme! Il suddetto vero uomo, perché si deve essere per forza uomini, sputa su ogni prodotto che non rientra in questi schemi da “1987-1994”, tutto quello che esce dal canone non vale un cazzo, è falso e sa di presa per il culo (orifizio santo ed inviolabile). Ultimo ma non meno importante anatema: se dietro a un progetto poi c’è una donna, apriti cielo! Se non è avvenente, forse: “potrebbe avere capacità nascoste ma punta solo al successo”, se poi per disgrazia è particolarmente affascinante e diciamolo, bella, allora: “è facilmente intuibile come mai sia arrivata lì.”
Ecco fatto. Doverosa premessa che poi occupa quasi tutta la recensione, perché? Semplice, perché certi rigurgiti non tramontano mai e perché buona parte della questione Myrkur gravita attorno a tali secolari pregiudizi da documentario sui metodi di corteggiamento dei pavoni asiatici, inutile nasconderlo. Amalie Bruun è brava, ha talento, la sua ricerca musicale e vocale è ben al di sopra della media del genere, Garm non è l’ultimo dei coglioni e vide benissimo le potenzialità dell’ottima artista danese e personalmente lo ringrazio per aver prodotto questo progetto. Se ho amato il debutto, con quella commistione tra ferocissimi vocalizzi “Black” e dolci arpeggi vocali e strumentali degni del miglior Folk di matrice nordica, ho poi letteralmente adorato “Mareridt”, dove la strega ci stordisce solo per pochissimo con la ferocia, per poi decidere di ammaliarci con la luce sinistra del suo trasformare inni ancestrali in canzoni contemporanee. Come fa in questo “Folkesange”, volete davvero sapere com’è? Beh, è uno splendore, il Black Metal, che mai è c’entrato nella carriera della Bruun, se non per l’utilizzo sporadico dello scream e per la sua personale attitudine ad amare privatamente il genere, non è certo tirato in causa qui, anzi, stavolta nessun urlo ferale taglia l’atmosfera, tutto è maledettamente e luminosamente Folk. La voce è soave, ispirata, acuta, leggera e affilata, in una parola: incantevole. I testi sono in lingua madre (tranne uno, sull’Albero della Vita) e le suggestioni dei Wardruna ci si palesano davanti, anche se lo scaldo stavolta è una vera e propria Norna, non il nostro buon Selvik! La copertina è tratta da un dipinto di Hans Dahl e la ragazzina in abiti tradizionali, immersa nel canonico paesaggio rurale scandinavo, rende il lavoro ancora più sublime e suggestivo. Tutto è in armonia in questo disco, davvero tutto. C’è poco altro da dire qui. Acustica, voce, antichi strumenti a corda e un pianoforte in chiusura. Tutto.
Che dire alla fine? Come chiudere? Torniamo alle battute iniziali? Che poi, che significa “costruita a tavolino”, io non l’ho mai capito, cosa pensate, che Samoth e Ihsahn siano inciampati causalmente su uno strumento musicale per dar vita agli Emperor? Che dallo scantinato non ambissero ai palchi dei grandi festival e al successo? Che “Transilvanian Hunger” non sia un album che Fenriz ha studiato nei minimi dettagli? Che “Bergtatt” sia stato concepito per essere suonato solo in garage tra amici o che i Wardruna siano stati creati ad hoc per intrattenere i pescatori nelle trattorie di Bergen? Dai su, ogni cosa nel mondo dell’Arte e dello spettacolo è “studiata”, ogni gruppo si augura di avere un buon contratto ed ogni artista ambisce a vivere della propria Arte. La Bruun ama quello che fa e si sente, checché ne dicano i duri&puri davanti ai loro boccali di birra, com’è innegabile che quello che Myrkur propone è di alta qualità nel suo genere, e chi davvero ama immergersi in certe atmosfere e guarda a certi luoghi totemici lassù, nell’immenso e aspro Nord, non può non sentire tutto questo.
P.s. A conferma di quanto dico, questo è uno dei commenti medi che si trovano sotto alle recensioni della Bruun, riporto esattamente come l’ho trovato su un celebre sito: “sta roba è una commercialata assurda, arriva la modella figa a cui fanno fare un disco black, wow! sinceramente per quanto stimi garm, non capisco perchè si è messo a produrre un disco così, forse la tizia gliela avrà data, boh.”
Grammatica a parte, tutto questo è surreale, superficiale e a dir poco puerile. “Disco Black”??? Ma quando mai? Ma di che parliamo? Non sono nemmeno critiche dai, sono suoni tipici di una cattiva digestione, nulla di più. Legittimo criticare i contenuti, ma se davvero siamo sinceri, questo progetto viene liquidato quasi sempre e solo in questi termini. A mio avviso non lo merita e utilizzo volentieri questo spazio per dire a chi ama queste sonorità di ascoltare l’album, non i moti viscerali post-sbronza tra “maschi alfa”. Spero ardentemente che idiozie di questo genere non appaiano anche qui sotto, anche se purtroppo ne dubito.
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