I Naam ovvero Ryan Lugar (chitarra e voce), John Bundy ( basso e voce) ed Eli Pizzuto (batteria). Un terzetto newyorchese dedito al più evoluto heavy-psych rock intriso di lisergico misticismo sapientemente alternato a sferzate hard-rock e stoner.

Un bel guazzabuglio direte voi ma la opentrack ("Kingdom") è già un eloquentissimo manifesto del Naam progetto: 16 minuti in cui un funereo crescendo doom lievita in un rock ieratico e potente, dalle reminescenze vagamente zeppeliniane (ma forse sarebbe meglio citare gli Hawkwind), per poi sciogliersi in solenni rigurgiti orientaleggianti a confermare i presagi dell'artwork.

L' intero disco è un ribollente calderone, un magma incandescente dal quale di volta in volta riemergono in superficie esplodendo nelle orecchie dell'ascoltatore bolle di grandissimo rock e dense melasse psichedeliche. E cazzo... vi assicuro che è un gran bel detonare per i padiglioni auricolari. Le restanti 9 tracce sono un immaginifico saliscendi tra queste succitate anime tormentate del rock. Un allucinato sabba nel quale vecchi malefici maestri (Hawkwind, Black Sabbath, Kyuss, Sleep) e nuovi sciamani (Earth, Ancestors, Om) vengono di volta in volta evocati in una vertiginosa ridda sonora che vi farà viaggiare molto lontano materializzandosi in una mirabile sintesi. Un amalgama che assurge ad una nuova e coerente statura ben svincolata dallo sterile citazionismo e che ci consegna un ottimo esordio dalle basi solidissime e una band per la quale vorrei sbilanciarmi in una previsione di un futuro di grandissimo spessore.

Un bel viaggio distorto e lucido al contempo, un gorgo di profonda trance, una frenetica e ossessiva danza tribale, esplosioni e sferzate di pura cattiveria, un cosmico rituale dal quale vi sveglierete pienamente soddisfatti se quello che cercavate era un ora di (mal)sana fuga dalla realtà. Questo sono i Naam.

Consigliato.

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