Innanzitutto, visto che si tratta della mia prima recensione di un  videogame su questo sito e la mia seconda recensione in assoluto, permettetemi una piccola (mica tanto) digressione. Sono un videoplayer accanito ed imperterrito dal lontano 1994, adesso siamo nel 2010, quindi seguo questa industria da circa 16 anni. Sedici anni che sono un'eternità nella vita di un uomo, figuriamoci in un settore in cui la legge di Moore la fa da padrona... Non a caso, in questi lunghi sedici anni è successo di tutto, si è passati dalle vestute cartuccie dello Snes (che hanno ancora oggi conservano il loro fascino), al sogno proibito della terza dimensione attraverso roba come console portatili, multimedialità, pirateria, online gaming, sino ad approdare alla croce e delizia di ogni nerd brufoloso cresciuto a suon di Mario e Sonic: lo sdoganamento del suo hobby preferito. Processo che, nell'industria ludica ha assunto un'identità ben precisa: la Nintendo Wii. La conseguenza di questo profondo sisma assume nell'immaginario dei gamer una dimensione ben precisa, cioè la differenza che passa tra un casual gamer e un hardcore gamer. I secondi siamo noi; quel determinato ceppo evolutivo dell'homo sapiens che ha acquisito, grazie alle notevoli ore passate in gioventù incollato ad uno schermo, alcuni tratti fisiologici abbastanza caratteristici come: pollice della mano destra totalmente flessibile, riflessi degni dell'uomo ragno, fosse abbastanza marcate e perenni in prossimità del bulbo oculare di cui neanche il peggiore dei tossici può vantarsi. I primi invece, gli abbastanza odiati casual gamers, sono tutti gli altri. Cioè quelli che si fanno la partita a Wii Sports con la famiglia durantele vacanze di natale, le bambine (?!) che passano le loro giornate su Farmville e chi è abbastanza pigro per andare in palestra e crede che Wiifit sia la soluzione al suo problema. Cioè, in linea di massima, tutti coloro che credono che giocare a videogame adesso sia fico. Ora, detto questo, credo che i motivi dell'odio atavico che scorre tra queste due fazioni di gamer sia abbastanza scontato. E' normale che una software house sviluppi giochi per vendere. Ed è ancora più normale che per vendere questa realizzi titoli capaci di abbracciare i gusti della più larga fetta di pubblico possibile. E dato che le nuove leve del mercato sono decisamente molte di più, lo fa ovviamente a discapito nostro. Un'esempio abbastanza pratico e pertinente è il drastico crollo della curva di difficoltà che qualsiasi produzione ha subito negl'ultimi anni. Come abbiamo visto, per ragioni intrinsecamente biologiche, non tutti gli esseri umani conoscono la locazione dei tasti del pad a memoria per le combo di "Street fighter", e per loro il picco del sadismo è stato raggiunto con le piattaforme di "New Super Mario Bros." mentre noi eravamo impegnati a completare per l'ennesima volta "Ghouls'n Ghost".

E proprio da queste premesse che prende forma l'ultima fatica dei Ninja Theory. "Enslaved", le carte per vendere vagonate di copie fra i casual ce le ha tutte: massiccia campagna marketing, gameplay mai troppo profondo, effetti speciali degni della più blasonate produzioni hollywoodiane, difficoltà non pervenuta. Eppure, vi dirò, giocandoci mi sono divertito abbastanza, e mi è sembrato che questo "Enslaved" avesse anche qualcosa di più. Il tutto si riduce al sempreverde tema del viaggo verso est compiuto dai due protagonisti allo stesso tempo antitetici e complementari. Il primo si chiama Monkey, la variante scimmiesca del classico Kratos. Personaggio abbastanza stereotipato ma che svolge egregiamente la sua funzione da "mazzolatore ignorante" tra una sessione platform scriptata e l'altra,s essioni platform esaltanti quanto uno sbadiglio (e un gioco per casual d'altronde, non dimentichiamolo). L'altra protagonista, invece, si chiama Trip e oltre ad essere strafiga e indifesa e anche il cervello del duo (vabbè, cervello mica tanto). Sono le sezioni in cui controlleremo lei (anche se indirettamente) che ci permetteranno di vivere l'ebrezza provocata dall'uso del nostro cervello attraverso qualche sessione di puzzle solving, abbastanza elementare ma, in fin dei conti, riuscito. Ora, come abbiamo visto, i due protagonisti per essere diversi sono diversi, del tutto incompatibili. Stereotipati anche. Ma eppure riescono nel compito di non risultare banali e suscitare interesse. Evidentemente  la grandezza sta nella sinergia che queste due macchiette sprigionano assieme, in un rapporto protettore/protetta degno dei migliori Ico/Yorda. Perché potrei parlarvi del contorno, cioè di questo futuro post apocalittico baciato dal verde della natura (e questo stereotipato proprio non è) e del contrasto che crea con i terribili robot che faranno di tutto per sterminare gli ultimi due esemplari della razza umana, quasi fossero i nuovi Adamo ed Eva. Oppure potrei dirvi che raramente nella mia pluridecennale carriera di videoplayer avevo visto una location azzeccata come una New York resa irriconoscibile dalla giungla e dalle intemperie del tempo. Ma non avrebbe senso, e rimarrebbe appunto un mero contorno perchè il succo è tutto qui: nel rapporto che si istaura tra i due, tra lo ying e lo yang con una recitazione digitale che raramente aveva raggiunto livelli di un'espressività talmente "umana".

In definitiva, "Enslaved" è un bel titolo, che scivola via e coinvolge più che per i suoi meriti ludici per il grande rapporto di empatia che si istaura tra il giocatore e i suoi personaggi. E un po' il titolo che l'amante del cinema si fitta per passare la serata salvo restare poi piacevolmente sorpreso. O se volete è il titolo che non fa rimpiangere all'hardcore questo ampliamento del mercato. Perché diciamocelo smadonnare per l'ennesimo salto fallito a Mario Bros dopo una pesante giornata di lavoro non è sempre il massimo.

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