Da giovane non mi sconfinferava molto Nanni Moretti perché cadevo nella sua provocazione narcisista. Oggi come oggi il fastidio del passato è passato e estrapolo dalla filmografia questo giallo che più all'italiana di così non si può, un film che per il ventaglio di arie umane buttate in campo mi è molto caro. E intendo quell'aria antica che hanno tutti i personaggi, quella brezza decadente mediterranea che rende pacato il sentirsi a proprio agio dell'anima che siamo.
Le cose si creano psichicamente, le cose si risolvono psichicamente, i casi d'omicidio pure. Ognuno degli attori ha la sua soluzione logica delle cose, nelle loro assurde evoluzioni c'è verità e la si riconosce portando compassione al posto del giudizio. Bianca, gli studenti, le famiglie, le coppie, Siro, il preside della scuola: "Rido?"
Psicosi, fisime, traumi, allucinazioni, decadenti come la vita e la morte, in vaneggiamenti per ingannare il tempo, per fermare l'Eternità, per illudersi che dietro l'angolo ci aspetterà la felicità, raggiungerla e rifiutarla per avere paura di perderla nel caso di Michele. È il dolore dell'imposizione razionale della felicità, è il dolore del naufragio della speranza del "chissà magari un giorno anche io..." che ci condanna a continuare, è il dolore di vedere altri rifiutarla, è il dolore della paura che la felicità non arrivi mai.
L'odore di putrefazione dell'amore diventa insopportabile, siamo condannati a disinfettare con l'alcool tutto, anche i nostri sentimenti, scavando di tanto in tanto di "spiare" dalla finestra una famiglia felice che proietta la speranza di partecipare al Regno di Dio. Ma Kronos è inesorabile se partecipi al suo gioco e cancella il momento, cancella l'immobilità degli astri. L'arroganza si scioglie nello sconforto di non poter intervenire psichicamente per aggiustare le cose, così si opta per la soluzione di un continuo controllo materiale, eliminazione inclusa: "Se non sapete fermare la felicità ci penso io, ci pensa il professore di matematica a tirar su i calzini di tutti".
La fissazione del "tutto a posto, tutto in ordine" porta a voler spolverare il davanzale di tutti alla caccia di un'empatia impossibile che non può che deluderci. Il cercare, da parte degli altri, diversificazione per nutrire il subdolo suggerimento della nostra noia ha come conseguenza il tradimento del gioco di squadra di un centramento celeste che getta Michele in un isolazionismo di mocassini tutti uguali, di pieghe di divise blu stirate alla perfezione, di sentimenti schedati, di movimenti sacri nel mangiare torte come se da come si scava la fetta col cucchiaio si possa decidere la continuazione o il crollo di una Galassia.
E si sta dentro il "tunnel" orfani anche di quell'horror vacui spalmato sul pane a mo' di Nutella. Non convinti del "metà faccio io che metà fa Dio", malfidati della lungimiranza del divino ci si abbandona nel finale alla redenzione che "confessa" il salto di livello di Michele dove un sole a scacchi gli resterà fedele.
Nanni Moretti costruisce il ritratto del serial killer definitivo, il più inquietante di sempre, e l'inquietudine l'abbiamo per quel senso di vicinanza che proviamo per Michele perché, come dice Bianca, "è un uomo buono" che, lineare nella sua logica, nella sua solitaria purezza trascende l'atto: un uomo buono che uccide.
E come si supera un trogloditismo murder hollywoodiano, con tutti quegli assassini seriali decisionisti, assolutisti, sicurissimi nella loro missione di angeli vendicatori dove Michele ne fa tabula rasa presentando un orrore reale, paralizzante nell'assenza di paura, di un "terminatore" insicuro e buono collegato con una lungimiranza personale all'eternità che alla lunga convince con la sua velata oggettività, così il commissario, avendo un'età animica importante, risulta anni luce distante da tutti quegli altri investigatori, commissari e Sherlock vari della letteratura e del cinema che sono lì con le loro piume di pavone.
Nel nostro commissario non c'è vanità, non c'è considerazione, questo gli permette di sondare l'insondabile e suggerire indirettamente al professore di consegnarsi all'ergastolo del dilemma di dove inizia e finisce il limite dell'onnipotenza, con la prospettiva di chiacchierate agrumate che escludano giudizi e rimproveri. Le solitudini si devono confortare.
Guardo le mie foto degli anni '70 quando ero bambino e indossavo d'estate quei sandali blu con due buchi sopra. Anche grazie a loro ho avuto una bella infanzia.
"È triste morire senza figli".
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