Non è semplicemente un film su Berlusconi. E neppure, come per lunga parte sembrerebbe, un film su un film su Berlusconi. È un film sulla nostra società, sulla disperazione di un uomo, la carica ideologica sognante e onesta d'una giovane, sui tradimenti dei compagni e degli amici. È, come sempre, un film molto complesso. E Moretti sa, quando dirige, di lasciare allo spettatore molte più domande che risposte. D'altra parte, questa è da sempre una prerogativa dei grandi (su tutti Kubrick e Fellini).
Chi critica Moretti (teorema verificato sul campo cento volte su cento) magari tacciandolo di sinistrorsismo aprioristico, è perché di film di Nanni o non ne ha visti, o ne ha visto uno... una volta... tanto tempo fa (non ne ha visti...). Perché, chi i film di Moretti vede e 'coltiva' da sempre, sa che non si tratta mai di apologia di una delle tante sinistre, sa che non si tratta mai di opere 'su commissione' del potente di turno, del governicchio o dell'opposizionicchia di turno. E soprattutto sa che si tratta di opere in grado di infastidire una certa sinistra tanto quanto quelle di Allen sono capaci di infastidire una parte del mondo ebraico. Moretti, come Allen, è infatti un artista libero, e per questo da fastidio. Vecchio schema, direi anche antico, ma sempre tristemente valido.
In questo film abbiamo una separazione soffertissima (da lui, presumibilmente per un tradimento di lei, sul quale però non s'insiste), abbiamo l'ambiente del cinema italiano, e perciò romano, abbiamo la riesumazione postuma del trash anni '70, una sceneggiatrice alle prime armi (bellissima, ma questa è una considerazione da uomo, né da osservatore né men che mai da recensore...), collaboratori ed attori farfalloni ed infidi, soldi che non arrivano, che arrivano condizionati e che alla fine arrivano grazie alla vendita della propria fetta di casa...
E poi c'è Berlusconi, l'oggetto del film che la giovane regista, trasparente, ideologicizzata ma senza fanatismi, sincera e ancora non disincantata (quasi un alter-ego al femminile, ultraringiovanito), vuole a tutti i costi realizzare, quasi più per un bene ed un fine comuni che propri. Ed è un Berlusconi/simbolo, più che l'uomo vero e proprio (che comunque simbolo è...: il discorso sarebbe lungo...). Simbolo di quest'epoca televisiva d'imbarazzante analfabetismo di ritorno, simbolo del lavaggio di cervello che molti italiani hanno subito, e subiscono, giornalmente, negli ultimi vent'anni abbondanti, davanti all'inutile scatolone luminoso. Insomma: è una figura letterario/cinematografica, un 'personaggio' che ha la disgrazia d'esser vero, ma il fatto che lo sia è quasi, paradossalmente, irrilevante. Il film è incentrato su quello che siamo diventati, e su uno dei principali protagonisti di questa (orrenda, su questo son totalmente d'accordo) metamorfosi. E il film sul film è contorno alle vicende personali del sempre perfetto Silvio Orlando, tanto quanto queste ultime sono contorno al film sul film. E qui sta la complessità cinematografica dell'opera. Di 'film sul film' se ne sono visti tanti, come di 'film nel film', ma questo ha, tecnicamente, un'originalità assoluta.
Tutto appare ruotare attorno a un centro che non c'è (neanche la bella Jashmine Trinca non è protagonista a tutto tondo dell'opera...), ed ogni vicenda ha sostanzialmente un ruolo di comprimarietà. Il finale, poi, catastroficamente fantastico ma arredato da frasi tutte reali, lascia ampi spazi al pessimismo ed al disincanto, nel quadro di un film (nel film) che si fa, ma autoprodotto, opera di una sceneggiatrice esordiente e di un regista fallito di 'B movies' anni '70 (bellissimi sia nei titoli che nelle copertine).
Un film strano, molto ben concepito, con inizio e finali folgoranti. Nel mezzo molto disincanto, molto buon cinema, molte domande.
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