Moretti, dopo la parentesi poco riuscita di 3 piani, torna sul suo, torna a fare Moretti.

Il film è costruito bene, c'è il film vero e proprio (quello che presenta le difficoltà del momento, di coppia, dell'attualità produttiva cinematografica, ecc., ma senza riferimenti alla situazione politica odierna), il film che si sta girando (ambientato nel 1956 fortemente connotato politicamente) e il film sognato (quello con minore spazio, che riguarda la sua vita coniugale). Nello svolgersi della trama trovano spazio molti, se non tutti, i temi e le ossessioni già conosciuti di Moretti. Qui l'autoreferenzialità raggiunge il massimo, ma in alcuni casi è approfondita in una maniera mai vista prima (il discorso sulla visualizzazione della violenza, ripreso da Caro Diario, intesa come puro intrattenimento e contrapposta alla visione di Kieslowski, da sola potrebbe valere l'intero prezzo del biglietto, un invito alla riflessione tutt'altro che banale).

Oltre ai riferimenti diretti al suo cinema precedente il film è ricco di citazionismo, sia implicito (il circo, il regista in crisi, ecc.) che esplicito (si fanno i nomi di Cassavetes, Kieslowski, Fellini, Taviani, Scorsese, ecc.). Circondato da molti dei suoi attori preferiti (e alla fine omaggiando tanti di quelli che negli anni hanno collaborato con lui) Moretti domina come di consueto la scena, ma con un piglio meno aggressivo e iconoclasta rispetto agli altri film più giovanili, riprende le sue manie (le scarpe, le canzoni, il ballo), ma si rivolge quasi esclusivamente al passato. L'impressione è che la realtà odierna, oltre sicuramente a non piacergli, sia diventata ormai troppo complicata e confusa, senza punti di riferimento saldi, per poter essere raccontata con un minimo di obiettività, o forse che manchino davvero gli strumenti adatti per comprenderla.

Così semplicemente alla fine Moretti preferisce riscrivere la storia e regalarci quel sogno che molti di noi, in passato e almeno per un attimo, avevamo anelato. E a cui, per pochi istanti ancora, prima dello scorrere dei titoli finali, vorremmo forse, magari ingenuamente, poterci ancora credere.

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