La c.d. "caduta del comunismo" ed il suo impatto sulla politica italiana sono stati intesi solo parzialmente, ed in certi casi con notevole ritardo, da parte dei politici stessi, dei teorici della politica, e, a tratti degli storici contemporanei, non consentendo di dare un giudizio equanime su questa vicenda, ancora recente e viva nelle coscienze di ognuno, ed ancor oggi foriera di profonde divisioni nella nostra società.
E' certo, tuttavia, che le vicende relative al collasso dell'Unione Sovietica, e, con essa, del blocco che si riconosceva nel Comecon, nel periodo '83-'91 hanno inciso sulla storia della Repubblica in maniera forse più incisiva di quanto non avvenuto nelle altre parti dell'Occidente, in considerazione dell'enorme seguito popolare del PCI in tutto il dopoguerra, e, soprattutto, durante il segretariato di Enrico Berlinguer.
Non deve dunque stupire che la confusione delle sinistre fra la seconda metà degli anni '80 ed i primi anni '90 sia stata colta in maniera incisiva, più che da intellettuali organici al sistema in un ottica gramsciana, da un cineasta non (ancora direttamente) schierato in politica come Nanni Moretti, che nel film "Palombella Rossa" e soprattutto nel documentario qui recensito rappresenta, ora in forma di fiction ora in forma reale, lo smarrimento di buona parte del ceto popolare italiano che votava comunista all'indomani della perdita delle proprie basi e dei propri riferimenti.
L'interrogativo attorno a cui ruota il documentario del nostro regista, al quale è accluso in questa edizione anche un documentario di un regista belga filmato nell'Italia berlingueriana degli anni '80, è quello delle sorti del PCI, ed è a propria volta declinabile in diverse prospettive reciprocamente integrate.
Cambiare ad esso nome, e sostanza, all'insegna di un qualcosa di nuovo e diverso, rompendo con la tradizionale divisione delle sinistre massimaliste, miglioriste, socialiste, socialdemocratice, proletarie, movimentiste, rivoluzionarie, extraparlamentari, anarco insurrenzionaliste, filoccidentali, neutraliste, maoiste, post maoiste, socialcumuniste, castriste, guevariste, libertarie, moraliste, cattocomuniste?
Rimanere ancorati presso le proprie divisioni e certezze, nella convinzione che marciare divisi e colpire uniti fosse ancora possibile: ma colpire cosa, a seguito della caduta del blocco comunista ed all'affermazione apparentemente totale del sistema capitalistico occidentale e dei valori di ricchezza, libertà anche a costo delle diseguaglianze, che, nell'ottica di storici come Francis Fukuyama, implicava addirittura la "fine della storia"?
Ammettere la propria sconfitta e confluire in un nuovo soggetto socialista, innestandosi nel garofano dell'allora potente Craxi, nei confronti del quale gravava nondimeno l'anatema sollevato pochi anni prima dall'ultimo simbolo del comunismo italiano - il menzionato Berlinguer - nel momento in cui pose la famosa "questione morale" inerente l'implicita superiorità della sinistra non tanto rispetto al restante arco parlamentare (il che si dava per assunto), ma rispetto ai diretti concorrenti socialisti?
Interrogativi ovviamente non facili da evadere in quei turbolenti anni, in cui le caratteristiche di questo nuovo soggetto politico, consapevolmente separato dalle proprie radici comuniste sconfitte dalla storia ma non ancora maturo al punto di realizzare un autentico "parricidio" nei confronti dei vari Gramsci, Togliatti, Ingrao, Berlinguer, venivano ben espresse da Moretti con riferimento all'incerto vocabolo "La cosa": quasi a suggerire egli, da consumato uomo di spettacolo, come la nuova entità avesse qualcosa di necessariamente alieno rispetto alle esperienze, ai bisogni e probabilmente alle aspettative del proprio corpo elettorale.
Qualcosa che non sarebbe stato accettato con serenità, né dagli elettori né, soprattutto, dai quadri intermedi e dirigenziali di un Partito che si era strutturato ed organizzato, nelle coscienze ed abitudini dei propri membri, come una sorta di organizzazione parastatale, e come una sorta di reificazione delle aspettative di palingenesi quasi millenarista di quella parte della società italiana che non si riconosceva nei valori cattolici o risultava delusa dalla loro attuazione da parte delle gerarchie ecclesiastiche.
In questo documentario si coglie dunque come la nascita del PDS-DS e, in ultimo e traendo le fila del discorso, dell'odierno PD non sia stata il frutto graduale di una maturazione delle coscienze dei quadri dirigenziali del partito, ma sia stata un'opportunità ed un'occasione, probabilmente sprecata, nella misura in cui non si è rotto consapevolmente e soprattutto volontariamente con la tradizione, non si è riflettuto a dovere sulle false promesse del messianesimo comunista, non si è ridefinita con coraggio una nuova offerta politica, si sono rimasticate vecchie formule consociative con l'elettorato e le ideologie di matrice cattolico-democristiana.
Tutto ciò all'evidente costo di essere costantemente sconfitti alle elezioni successive, salvo le episodiche affermazioni delle coalizioni guidate da Romano Prodi, comparso sulla scena politica dapprima sull'onda emotiva della caduta del primo governo Berlusconi, senza l'autentica fiducia dei quadri comunisti o post-comunisti legati a vecchie logiche di potere ('96-'98), e, successivamente, quale garante dell'unità di una coalizione eterogenea e penalizzata da una legge elettorale poco favorevole ('06-'08).
Moretti non ci dice in cosa è mancata la sinistra italiana dalla fine degli anni '80 e tutt'oggi, limitandosi ad un silente interrogativo: dire qualcosa di sinistra è forse ancora possibile, sulla base di valori come libertà, mercato, capitale, ambiente, esigenze della produzione, servizi sociali, uguaglianza, equa tassazione, differenze, accoglienze, diversità, famiglia, tutela dei diritti individuali, decentramento, riscoperta del ruolo centrale dello Stato.
Questi i cardini di un pensiero che, riscoprendo nuovi sogni ed obiettivi, può dare ancora molto all'Italia.
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