A solo un anno di distanza da Bianca, Nanni Moretti realizza "La messa è finita" (1985), film in cui per la prima volta smette i panni del suo alter ego Michele Apicella per indossare le vesti di un prete.

Don Giulio torna nella natia Roma, dopo un lungo soggiorno su una piccola isola. Inizialmente fiducioso di ritornare alla sua vita di un tempo, si accorge presto che nulla è rimasto come l'ha lasciato e come sperava di trovare. La sua famiglia si sta disgregando: il padre se n'è andato a vivere con un'amica di sua figlia, la sorella Valentina sta lasciando il fidanzato da cui aspetta un figlio che non vuole tenere, la madre è in preda alla disperazione per l'abbandono del marito. Anche la condizione dei suoi amici di gioventù lo delude e lo addolora, mentre la parrocchia di periferia dove Don Giulio dovrebbe esercitare la sua missione è abbandonata, poiché il parroco suo predecessore ha dato scandalo sposandosi. Don Giulio cerca invano di rendersi utile ai suoi parenti ed amici, ma oppresso dal malessere altrui, dalla sua impotenza e impossibilità di aiutare chi lo circonda, deciderà di partire per la Patagonia dove "c'è un vento che fa diventare pazzi".

Fin dalle sequenze iniziali del film, si intuisce che Don Giulio altro non è che lo stesso Michele Apicella in abiti sacerdotali: è un prete anomalo nei cui comportamenti si ritrova la maniacalità e l'insofferenza di Michele nei lavori precedenti, e in modo particolare in "Bianca". Come ha dichiarato il regista stesso, "La messa è finita" non è un film sui preti: non vuole descrivere la condizione ecclesiastica dell'Italia contemporanea né la crisi religiosa del nostro paese. E', anzi, un film intimamente laico che mette lo spettatore di fronte alla consapevolezza che nemmeno la religione può offrire delle risposte al dramma della solitudine né a quello della morte. "E' triste morire senza figli": erano le ultime parole di Michele in "Bianca".

Don Giulio, ancora sull'isola, celebra un matrimonio e ammonisce i due sposi raccomandando loro tre cose: "la fedeltà reciproca, l'educazione dei figli, e la fedeltà reciproca" rivelando che il protagonista si troverà a dover affrontare le stesse angosce di Michele: l'ossessione per le coppie felici e la fobia della sessualità parallele al mito della famiglia e della madre, l'incapacità di staccarsi dall'infanzia. Il desiderio di appropriarsi delle vite altrui e di una normalità che gli risulta inaccessibile, è qui giustificato dal suo essere sacerdote, dall'isolamento imposto dal suo abito e dalla sua missione di partecipare alle sofferenze del prossimo, mentre in Bianca assumeva i tratti della malattia. Come Michele Apicella, anche Don Giulio è incapace di scendere a compromessi e di accettare le infelicità altrui ("credo che la vita sia fatta per la felicità e non per il dolore"), mentre la gente che lo attornia sembra fare di tutto per stare male e pretende da lui, in virtù del suo ruolo, comprensione e perdono. La sua impotenza di fronte ai drammi dei suoi amici e parenti lo porta a stringersi in un isolamento sempre più grande e a cedere all'incapacità di comunicare e di ascoltare il dolore che lo circonda.

Don Giulio sembra non tollerare la realtà che gli si rivela e si difende usando la musica, i rumori o la sua stessa voce per coprire parole che non vuole udire. Così urla per non sentire il pianto della madre, e, mentre sua sorella gli legge una lettera d'amore di suo padre alla nuova compagna, alza progressivamente il volume della radio fino a quando la voce della Bertè sovrasta completamente le parole di Valentina, in una scena tanto intensa quanto sgradevole nella sua amarezza. Il moralismo e l'intransigenza di Don Giulio gli impediscono di comprendere e di immedesimarsi nelle vite degli altri e, più che la fede cristiana, è il suo infantile ideale della famiglia che non gli permette di sopportare la volontà di abortire della sorella, il padre che abbandona la sua famiglia per un donna molto più giovane, l'ex parroco che non perde occasione di alludere alla sua vita sessuale. Don Giulio, di fronte ad una realtà dolorosa che non riesce ad accettare e che lo rifiuta, trova come unico rifugio la regressione all'infanzia, il solo momento della vita di un uomo in cui la felicità è concreta, si materializza nelle "nogatine", nella cioccolata calda che gli comprava la madre, nelle pallette di gomma che lui ancora conserva.

La testardaggine con cui Don Giulio si rapporta agli altri è quella di un bambino e con ostinazione vuole ritrovare l'idillio scomparso dell'infanzia. Di fronte alla disgregazione della sua famiglia, cerca invano la realizzazione della Sacra Famiglia a casa dell'ex parroco: rivendica il suo diritto a giocare coi trenini, a giocare a pallone insieme ai ragazzi della parrocchia, dai quali però è lasciato solo, disteso a terra, nel campo assolato. L'infanzia è altrove, ormai irraggiungibile.

Don Giulio-Michele subirà lo strappo definitivo dalla sua infanzia con il suicidio della madre, imperdonabile gesto che lo lascia definitivamente solo ("Perché l'hai fatto? Ora chi ci pensa a me?" dirà nel toccante monologo di fronte al cadavere). Questo avvenimento lo costringe a crescere e ad abbandonare il nido della memoria, e rappresenta uno dei momenti più importanti nella filmografia di Nanni Moretti. "La Messa è finita" segna una cesura nella produzione del regista sia nella decisiva evoluzione psicologica del suo alter ego, sia nella scelta di una struttura maggiormente narrativa e di una forma più classica di racconto e messa in scena. L'abbandono, almeno formale, del personaggio di Michele Apicella aiuta il regista a cedere di meno all'autoreferenzialità e all'autarchia dei suoi lavori precedenti. Lo sguardo di Moretti si allarga dalle sue ossessioni personali per abbracciare la tematica di una condizione di solitudine universale, di un'infelicità senza riscatto, con meno sarcasmo e più desolazione.

"Ti senti sola/con la tua libertà": il monito di Moretti è quello che non esiste libertà nella solitudine. Sulle note di "Ritornerai" di Bruno Lauzi, Don Giulio, nella scena finale, sorridendo guarda per l'ultima volta riconciliarsi i suoi cari, in una danza felice che non è nient'altro che sogno e allucinazione.

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